Il caso e le donne, i viaggi e i paesaggi, i progressivi spostamenti di stati d’animo e il desiderio, l’incontro con l’altro e la scoperta di se stessi, la realtà e la magia del quotidiano. In oltre quarant’anni di cinema Silvio Soldini ha tracciato una personalissima e ambiziosa traiettoria artistica lontano da sentieri già battuti, oltre i confini del cinema italiano, alla ricerca di un respiro, di un tempo, di uno sguardo in grado di restituire un mondo dai contorni meno scontati.

Non è dunque un caso che nell’incipit del suo primo lungometraggio, Paesaggio con figure (al Festival di Locarno nel 1983) un personaggio nella vasca da bagno afferri un orologio e inforchi un paio di occhiali. Come a mettere subito le cose in chiaro riguardo alla propria poetica. Se tempo e sguardo sono il cuore stesso del cinema, Soldini li configura subito a propria immagine e somiglianza. Un tempo sospeso, indeciso, rallentato. Il tempo che ci vuole per guardarsi dentro. E uno sguardo attento a ritagliare immagini precise, non necessariamente “belle”, ma insostituibili. Uno sguardo che finisce per coinvolgere anche gli altri sensi.

Fabrizio Bentivoglio e Sivlio Soldini sul set di Un'anima divisa in due
Fabrizio Bentivoglio e Sivlio Soldini sul set di Un'anima divisa in due
Fabrizio Bentivoglio e Silvio Soldini sul set di Un'anima divisa in due (Webphoto)

Guardare il mondo con altri occhi e a un altro ritmo è allora l’obiettivo del regista milanese per sentire l’aria serena dell’Ovest, scoprire il tormento di anime divise in due, seguire acrobate in viaggio, desiderare pane e tulipani, bruciare nel vento, attraversare tempeste, vivere le incertezze di giorni e nuvole, ascoltare statue parlanti, incontrare comandanti e cicogne, rincorrere passioni inarrestabili, vedere il colore nascosto delle cose. Evocatore con il suo cinema di una spiritualità laica al lavoro sull’invisibile, Soldini ha saputo mostrare emozioni che si traducono in paesaggi, e viceversa, certi piccoli e misteriosi segnali quotidiani che vale ancora la pena decifrare per cogliere il senso più profondo dell’esistenza, gesti e oggetti che aprono le porte dell’irrazionale, fili sottili che uniscono persone apparentemente lontane.

Il caso non arriva “a caso” nel cinema del regista, ma si offre a chi accetta di uscire dal proprio tracciato per inseguire desideri, rendere tangibili i sogni. Se in L’aria serena dell’Ovest si assiste ai “falsi movimenti” di personaggi senza meta, che non riescono a fare accadere le cose in una Milano grigia e fredda, Le acrobate celebra viaggi reali, di crescita, consapevolezza e scoperta. Quel mondo femminile così amato e frequentato dal cinema di Soldini, e che nel dramma storico corale Le assaggiatrici trova la sua apoteosi, non è il risultato di indagini sociologiche e ritratti generazionali, ma dell’ascolto di stati d’animo di donne capaci di reinventarsi la vita sfuggendo alla condanna del destino. Non oggetto, ma portatrici di desiderio.

Silvio Soldini
Silvio Soldini

Silvio Soldini

(Luca Zontini)

Sfuggendo a etichette di genere, spezzando strutture drammaturgiche convenzionali, Soldini è alle prese in ogni inquadratura con una continua ricerca formale e di senso, cercando l’adesione di tono e stile alla storia, scolpendo la rotondità di personaggi (anche quelli con appena una manciata di battute) che, oltrepassando i confini del film, vivono un’esistenza più larga di quella assegnata loro dagli sceneggiatori, fotografata dal regista e incarnata dagli attori, accomodandosi nella memoria dello spettatore come fossero persone reali, conosciute per davvero.

E se lontano da Roma, in una Milano restituita nei suoi angoli più sconosciuti, il cinema di Soldini è un’esperienza collettiva vissuta con chi è capace di dare il proprio cuore sul set (come il regista ha ricordato nel 2000 ricevendo da Francesco Rosi il David di Donatello per l’ariostesco Pane e tulipani), fianco a fianco con storici compagni di avventura (tra cui il direttore della fotografia Luca Bigazzi, la sceneggiatrice Doriana Leondeff, l’aiuto regista Giorgio Garini, la montatrice Carlotta Cristiani), quando è possibile si affida a volti poco noti, attori sconosciuti disposti a lavorare sulle piccole cose, abbandonando le confortevoli zone già esplorate. Con assoluto stupore, “a costo di sembrare sciocchi” come scrive in una lettera Raymond Carver.