La prima persona trans a vincere una statuetta per l’interpretazione? L’attore protagonista più giovane di sempre che batte il detentore dello stesso record? Un gruppetto di vincitori che punta al bis? Una star afroamericana che spera addirittura nel triplete? Qualche veterano pronto a sparigliare? È una competizione agguerrita, quella per gli Oscar agli attori e alle attrici, protagonisti e non, non fosse altro che i vari premi della lunga e ricca awards season non stanno indicando trionfatori annunciati. Vediamo lo stato delle cose, categoria per categoria.

Miglior attore

Mai come quest’anno i frontrunner rappresentano una “quota”, soprattutto nelle logiche dell’Academy. Sulla carta, il candidato più lanciato sembra essere Timothée Chalamet, trasformatosi in Bob Dylan nel biopic A Complete Unknown: già in corsa a 22 anni per Chiamami col tuo nome (2018), forte di quella tipica prova mimetica che piace agli elettori, potrebbe coronare la sua irresistibile ascesa nello star system diventando il più giovane vincitore della categoria. Il prossimo 2 marzo, infatti, avrà 29 anni, 2 mesi e 3 giorni: in caso di vittoria, batterà il detentore del record, Adrien Brody, premiato nel 2003 per Il pianista a 29 anni,11 mesi e 9 giorni.

Curiosamente, lo stesso Brody è uno dei principali competitor di Chalamet: un po’ in ombra negli ultimi tempi, ha una strepitosa rentrée come protagonista del fluviale The Brutalist. Nominato un anno fa per Rustin, Colman Domingo ci riprova con Sing Sing, un dramma che parte da fatti reali per raccontare l’esperienza di un laboratorio di teatro in carcere, con cui ha già vinto il Gotham Award: sarebbe il quinto afroamericano a ottenere la statuetta come protagonista in novantasette edizioni.

Sebastian Stan e Jeremy Strong in The Apprentice
Sebastian Stan e Jeremy Strong in The Apprentice

Sebastian Stan e Jeremy Strong in The Apprentice

(Apprentice Productions Ontario Inc./ Profile Productions 2 Aps / Tailored Films Ltd)

E se per Jesse Eisenberg si tratterebbe della seconda nomination a quattordici anni da The Social Network (in A Real Pain, da lui anche diretto, ha una di quelle performance in sottrazione che intrigano gli elettori, pensiamo al Bill Nighy di Living o al Paul Mescal di Aftersun), c’è un gruppetto di attori che punta alla prima candidatura, dalla rising star Glen Powell (Hit Man – Killer per caso, nell’anno delle hit Tutti tranne te e Twisters) a Sebastian Stan (che ha due colpi in canna: Donald Trump nel maledetto The Apprentice e un aspirante attore affetto da neurofibromatosi di tipo 1 in A Different Man) fino ai veterani Daniel Craig (a 56 anni, Queer è il plot twist della sua carriera) a Hugh Grant (a 64 anni sbaraglia con l’horror grottesco Heretic).

Ma forse a spuntarla potrebbe essere Ralph Fiennes, cardinale in crisi di Conclave (il film meno divisivo e più allettante per gli elettori âgé) uno di quegli attori da molto tempo nella sala d’attesa dell’Academy (l’ultima nomination risale a quasi trent’anni fa).

Miglior attrice

Come capita spesso negli ultimi anni, una delle gare più avvincenti. La più attiva è Angelina Jolie, già Oscar come non protagonista nel 2000 (ha ricevuto anche un Premio umanitario Jean Hersholt nel 2014), che esce dal silenzio e si trasfigura nella Callas in Maria, terzo atto della trilogia femminile di Pablo Larraín (ma sia Natalie Portman con Jackie che Kristen Spencer con Spencer si sono fermate alla cinquina).

Nicole Kidman e Harris Dickinson in Babygirl
Nicole Kidman e Harris Dickinson in Babygirl

Nicole Kidman e Harris Dickinson in Babygirl

(Niko Tavernise)

Altra veterana che sembrava una frontrunner all’inizio dell’awards season è Nicole Kidman, premiata con la Coppa Volpi a Venezia per Babygirl, nel ruolo di una manager travolta da una relazione sessuale con uno stagista. Ma, un po’ senza preavviso, è spuntata la rediviva Demi Moore, rafforzata dal successo del body horror indie The Substance: rispetto a Kidman, una diva ben inserita nel sistema (il suo presidio nella serialità è costante) e di fatto mai ai margini, Moore ha una narrazione più affascinante, incardinata anche sul rapporto stretto tra realtà e finzione (il riscatto di una star dimenticata). Più difficile che possa imporsi un’altra vecchia gloria come Pamela Anderson, piuttosto agguerrita con The Last Showgirl (i punti deboli sono la produzione indie e lo standing divistico).

Il successo di Wicked ha illuminato soprattutto Cynthia Erivo, che grazie all’interpretazione dell’iconica Strega dell’Ovest potrebbe diventare la prima afroamericana a ricevere la seconda candidatura come miglior attrice (la prima fu nel 2020 per il biopic Harriet) nonché la seconda in assoluto a trionfare nella categoria: l’Academy ama le performance totali (il musical è il banco di prova migliore) e la sua vittoria metterebbe d’accordo un po’ tutti (elettori, addetti ai lavori, spettatori).

© Universal Studios. All Rights Reserved.
© Universal Studios. All Rights Reserved.
L to R: Cynthia Erivo is Elphaba and Ariana Grande is Glinda in WICKED, directed by Jon M. Chu

Due attrici da tempo in cerca di Oscar come Saoirse Ronan (ex alcolista in The Outrun) e Amy Adams (mamma licantropa in Nightbitch) devono rimandare l’appuntamento con la nomination. Deboli le possibilità Tilda Swinton (malata terminale in La stanza accanto), imprevedibili quelle di Kate Winslet (per Lee, biopic della fotoreporter Miller, sta facendo una campagna aggressiva seguendo il “protocollo Riseborough”). Molto suggestive le narrazioni di Marianne Jean-Baptiste (Hard Truths, a quasi trent’anni dalla candidatura per Segreti e bugie, sempre di Mike Leigh) e soprattutto Fernanda Torres, che grazie al commovente Io sono ancora qui potrebbe diventare la seconda attrice brasiliana nella storia degli Oscar dopo sua madre Fernanda Montenegro (che nel film di Walter Salles interpreta la sua versione anziana).

Ma, al momento, le due frontrunner sono le protagoniste di due dei film più forti dell’annata: la venticinquenne Mikey Madison, che nella malinconica e scatenata commedia Anora offre una straordinaria ricchezza espressiva, e la spagnola Karla Sofía Gascón, che nel ruolo di Emilia Pérez non è solo monumentale e versatile (anche qui parliamo di un musical) ma potrebbe diventare la prima persona trans premiata con un Oscar per l’interpretazione.

© 2024 Netflix, Inc.
© 2024 Netflix, Inc.
Emilia Pérez. (Featured L-R) Zoe Saldaña as Rita Moro Castro and Karla Sofía Gascón as Emilia Pérez in Emilia Pérez. Cr. Netflix © 2024. (Courtesy of Netflix)

Miglior attore non protagonista

In principio sembrava non esserci partita: la statuetta era appaltata a Denzel Washington, dilagante nel ruolo del mercante di schiavi de Il gladiatore 2, che punta a diventare il quarto attore (il sesto in assoluto) nella storia a fare il triplete (ha già vinto nel 1990 e nel 2002). Ma la faccenda si è complicata. Kieran Culkin, uno stimato attore esploso grazie alla memorabile partecipazione alla serie Succession, sta raccogliendo il plauso e i premi della critica grazie allo struggente cugino depresso di A Real Pain (anche se stiamo nei pressi della “frode di categoria”: ci torneremo più avanti). Sarebbe interessante vederlo in cinquina assieme a Jeremy Strong, suo fratello nella serie citata, che è un mefistofelico Roy Cohn in The Apprentice (benché il film, una mina vagante in questa stagione, sia un po’ ostracizzato). Ma, in generale, è una categoria piena di outsider.

C’è Yura Borisov, magnetico trentaduenne russo lanciato a livello internazionale da Scompartimento n. 6, che colpisce al cuore in Anora. C’è Clarence Maclin, ex carcerato che debutta nel ruolo di se stesso in Sing Sing. C’è Adam Pearson, attivista britannico affetto da neurofibromatosi che ha un ruolo anticonvenzionale in A Different Man.

Kieran Culkin e Jesse Eisenberg in A Real Pain
Kieran Culkin e Jesse Eisenberg in A Real Pain

Kieran Culkin e Jesse Eisenberg in A Real Pain

E poi ci sono dei veterani in lista d’attesa. I più prestigiosi sono Edward Norton, che cerca la quarta nomination con il ritratto di Pete Seeger in A Complete Unknown, e Stanley Tucci, amatissimo dal pubblico che però (SPOILER) potrebbe fare la fine del suo cardinale aspirante papa in Conclave (FINE SPOILER). Peter Sarsgaard ci prova con September 5 ma molto dipende dall’impatto del film sugli elettori (sulla carta i più tradizionalisti potrebbero amarlo e lui se ne gioverebbe), mentre è notevole il rilancio di Guy Pearce, quintessenza del capitalismo in The Brutalist.

Deboli le chance di astri nascenti dello star system come Josh O’Connor (meraviglioso tennista fallito di Challengers), Jonathan Bailey (la sua esaltante performance in Wicked non sfigura con quella dei musical classici), Harris Dickinson (il perturbante toyboy di Babygirl), Austin Butler (che si trasforma nel cattivo di Dune – Parte due).

Adrien Brody e Felicity Jones in The Brutalist
Adrien Brody e Felicity Jones in The Brutalist

Adrien Brody e Felicity Jones in The Brutalist

Miglior attrice non protagonista

Mai come quest’anno c’è un alto tasso della cosiddetta “frode di categoria” ovvero quando un interprete evidentemente “leading” viene proposto dallo studio per la categoria di supporto. Ovviamente non c’è niente di criminale e l’Academy può decidere di ignorare l’indicazione e nominare secondo coscienza. Bisogna interrogarsi su cosa sia un protagonista (chi regge la trama, a differenza del comprimario che è, letteralmente, un supporto) ma anche sui dati, cioè lo “screen time”.

È il caso di Zoe Saldaña, principale candidata grazie alla clamorosa performance in Emilia Pérez, che appare 57 minuti e 50 secondi (43.69%), superando Karla Sofía Gascón che ha il ruolo titolare ma si vede meno di Saldaña (52 minuti e 21 seconds, 39.54%). Per dare l’idea, la terza star del film, Selena Gomez (anche lei in predicato di nomination) è presente per poco più di 27 minuti (20.57%).

Per non parlare di Ariana Grande, effettiva co-protagonista di Wicked in cui appare per più di 80 minuti (su 160 complessivi). Ma anche Margaret Qualley: in The Substance si vede per 57 minuti e 36 secondi, appena due minuti in meno di Demi Moore.

I motivi sono semplici: occupare due categorie, non mettere contro due attrici per lo stesso film e non oscurare le narrazioni personali. Così facendo Emilia Pérez, Wicked e The Substance hanno la possibilità di trionfare sia tra le leading che tra le supporting, grazie a un quartetto (quintetto se mettiamo anche Gomez) piuttosto rampante. E poi, andando più in profondità, Saldaña, Grande e Qualley sono letteralmente “a supporto” delle protagoniste.

© 2024 Focus Features, LLC. All Rights Reserved.
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Isabella Rossellini stars as Sister Agnes in director Edward Berger's CONCLAVE, a Focus Features release. Credit: Courtesy of Focus Features. © 2024 All Rights Reserved. (Courtesy of Focus Features. © )

Diverso il caso di Danielle Deadwyler, che in The Piano Lesson si vede per 46 minuti e 44 secondi (quattro in meno di Malcolm Washington, che corre come protagonista): è una scelta simile a quella (vincente) fatta da Viola Davis in Barriere, altro adattamento da August Wilson. Invece sono effettivamente “supporting” Felicity Jones (moglie malata in The Brutalist), Aunjanue Ellis-Taylor (straziante nonna in Nickel Boys), Monica Barbaro (Joan Baez in A Complete Unknown) e ancora Saoirse Ronan (madre sotto le bombe in Blitz).

E soprattutto Isabella Rossellini, che a settantadue anni potrebbe ricevere la sua prima nomination all’Oscar grazie ai 7 minuti e 51 secondi della sua interpretazione in Conclave: sarebbe la ventiseiesima interpretazione più breve mai candidata all'Oscar (imbattibile Hermione Baddeley e i suoi 2 minuti e 19 secondi in La strada ai quartieri alti) e la terza più corta a vincere (il record resta di Beatrice Straight, premiata per 5 minuti in Quinto potere).