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Le assaggiatrici - Foto Luca Zontini
Morire di fame, rischiare di morire mangiando. Nessuno, fino al 2012, era a conoscenza della vera storia di Margot Wölk: cinque anni prima di morire, centenaria, nel 2017, la donna rivelò che durante la Seconda Guerra Mondiale, insieme ad altre 14 giovani donne tedesche, era stata reclutata dalle SS per assaggiare ogni giorno il cibo destinato a Hitler e scongiurare così che sulla tavola del Führer potessero arrivare pietanze avvelenate.
Da questa storia, qualche anno più tardi, vede la luce il romanzo di Rosella Postorino, Le assaggiatrici (Feltrinelli), premio Campiello nel 2018, ora portato sullo schermo da Silvio Soldini, anche autore della sceneggiatura insieme a Doriana Leondeff, Lucio Ricca, Cristina Comencini, Giulia Calenda e Ilaria Macchia.
"Per desiderare di tradurre in immagini un romanzo deve accadermi qualcosa, al di là di quanto lo trovi bello o riuscito. Devo sentire una sorta di attrazione. E una parte sensibile di me deve sentirsi a casa in quella storia, nei personaggi, nelle emozioni che porta a galla. Devo trovare uno spazio che mi permetta di muovermi liberamente per arrivare a raccontare col mio sguardo, per immagini, ciò che nella scrittura è così forte e vivo”, spiega il regista, che aggiunge: “Mi era già successo una volta, anni fa, con Ieri, di Agota Kristof, da cui ho tratto Brucio nel vento, un film girato in un’altra lingua, il ceco. E questa volta, un altro romanzo scritto da una donna mi ha portato a fare un film in tedesco, di nuovo una lingua non mia e che non conosco... D’altronde in che altra lingua avrei potuto girare un film che racconta una storia ambientata nel 1943 in Germania?".
Ed è una scelta non solo onorevole, ma che determina sin dalle prime battute l’andamento e l’atmosfera di un film che sa restituire il grigiore di luogo e tempo entro cui si muove la vicenda.


Le assaggiatrici - Foto Luca Zontini
Siamo nell’autunno del 1943, la giovane Rosa (Elisa Schlott) fugge dai bombardamenti di Berlino e raggiunge un piccolo paese isolato, vicino al confine orientale, dove vivono i suoi suoceri, rifugiandosi lì in attesa che il marito possa fare ritorno, impegnato al fronte. All’interno della foresta con cui confina il villaggio, però, si nasconde il quartier generale di Hitler, la Tana del Lupo. E qualche giorno dopo, una mattina all’alba, Rosa viene prelevata dalla sua abitazione. Insieme ad altre giovani donne tedesche è costretta, ogni giorno, ad assaggiare i cibi cucinati per il Führer, che vede nemici dappertutto e teme di essere avvelenato.
Coproduzione Italia-Belgio-Svizzera, Le assaggiatrici – film d’apertura al Bif&st, in sala con Vision Distribution dal 27 marzo – si avvale di un cast artistico totalmente tedesco e segna la prima volta per Soldini con il period drama: “Non avevo mai fatto un film d’epoca e la mia prima preoccupazione è stata quella, da ipotetico spettatore, di riuscire a credere alla vita e alla verità di queste giovani donne che ottant’anni fa hanno realmente vissuto quel dramma, e questo all’interno del rigore di una messa in scena che sentivo necessaria a dare forza al racconto”.
Proprio per questo – pur mantenendo centrale la questione che diede prima il titolo al romanzo, ora al film – quello che emerge con vigore è il percorso che la protagonista e le malcapitate omologhe – divise tra la paura di morire e la fame – sono chiamate a compiere, anche umanamente: Rosa, “la berlinese” fatica inizialmente a farsi accettare dal resto del gruppo, poi quella diffidenza pian piano si smussa, con alcune, soprattutto Elfriede (Alma Hasun), stringerà una vera e propria amicizia. Il tempo passa, l’aberrazione diventa quasi routine, gli eventi (il marito dato per disperso, il fallito attentato a Hitler del luglio ’44) comporteranno reazioni non sempre razionali (l’imprevedibile passione tra Rosa e il tenente SS Ziegler): Le assaggiatrici parte dunque da una vicenda reale e ne riporta in superficie smussature romanzesche per sottolineare i rapporti di forza, malati, perversi, tra oppressore e oppressi, tra il potere e chi è costretto a subirne gli ordini.


Silvio Soldini sul set di Le assaggiatrici - Foto Matteo Vegezzi
Quelle donne – tutte tedesche, tutte ariane (tutte tranne una…) – diventano soldatesse senza divisa costrette a combattere un altro tipo di guerra rispetto a quella tradizionale: “Mentre fuori infuria la vicenda storica il film racconta la guerra stando accanto alle donne, vittime della ‘guerra degli uomini’, concentrandosi su un microcosmo, la ex scuola dove le assaggiatrici sono costrette a mangiare due volte al giorno, la casa dei suoceri, la stanza da letto, il laghetto”, dice ancora Soldini, che aggiunge: “Questo non è solo un film ambientato in un altro tempo, che ci porta anche a riflettere sulle dinamiche oppressive passate e attuali, e sui devastanti effetti della guerra. È anche un film sugli istinti e le pulsioni umane, sulla tensione tra i bisogni primari di ognuno di noi e quelli secondari, condizionati dall’ambiente, dalla cultura e dal potere”.