Chissà se il regista Edward Berger ha visto L’uomo venuto dal Kremlino del 1968 di Michael Anderson. Anthony Quinn interpretava un vescovo dal passato burrascoso che, non proprio con entusiasmo, veniva eletto Papa. Ci sono delle assonanze tra l’esule di Quinn e il decano a cui presta il volto un superbo Ralph Fiennes in Conclave. Entrambi stanno attraversando un momento tumultuoso per la loro fede e vengono chiamati a un compito più alto. L’uno scopre di dover guidare la Chiesa, l’altro di dover organizzare un conclave pirotecnico.

La fonte di ispirazione primaria di Berger è l’omonimo romanzo di Robert Harris. Il cineasta tedesco resta fedele al libro, ma il suo obiettivo non è lo scandalo. Non vuole indicare una nuova via alla Chiesa, ma vuole delineare il ritratto di un’umanità che ha perso i propri punti di riferimento. Che fatica a destreggiarsi tra realtà, false notizie, e guide meschine. L’immagine è quella di un mondo corrotto, a qualsiasi livello ed è da qui che sorge la vera provocazione di Berger: può la fede andare oltre la cortina di fumo generata ogni giorno dalla bramosia del potere? La provocazione non è solo per i credenti, ma per tutti gli spettatori.

Non a caso Conclave è claustrofobico. La macchina da presa non abbandona mai i protagonisti, non li lascia respirare, non si vede mai che cosa succede all’esterno, è come se insieme ai cardinali fossimo “rinchiusi” anche noi. Gli intrighi di palazzo si mescolano a una preghiera che sembra passare in secondo piano. La speranza scaturisce dai giochi di luce, dai chiaroscuri che caratterizzano i corridoi spogli e gli straordinari affreschi della Cappella Sistina. Raccontare il conclave è un pretesto. Non è legato al credo, alla spiritualità o alla critica alla Chiesa. È un’ambientazione, un contesto scelto per mettere l’uomo davanti alle proprie responsabilità. Condannando l’ambizione sfrenata, la superficialità delle relazioni con gli altri, le molte maschere che nascondono le venature più grette.

Quello di Berger non è solo un cinema elegante, appassionato, pieno di cromature, è anche un cinema di corpi, e soprattutto di conflitto. Niente di nuovo sul fronte occidentale proiettava nelle trincee, Jack si concentrava su un ragazzo che doveva sopravvivere nonostante il bullismo e le avversità dell’esistenza.

La guerra è un tema ricorrente per Berger, e in Conclave viene direttamente esplicitato. A un certo punto il cardinale Bellini, un ottimo Stanley Tucci, spiega a Fiennes che il conclave è come se fosse una guerra. Il cardinale Tedesco, il nostro Sergio Castellitto, invoca addirittura una nuova guerra santa. È come se Conclave volesse in realtà esorcizzare la violenza, richiamando una pace che passa attraverso il dialogo. Conclave è un film di parola, un thriller inaspettato, in cui il kammerspiel diventa la chiave per riflettere sulla nostra società.