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Virginia Raffaele e Antonio Albanese in Un mondo a parte
A Pescasseroli, meno di duemila abitanti nel cuore del parco nazionale d’Abruzzo, Lazio e Molise, si lotta per il presidio sanitario e ci si cruccia per la poca neve fioccata in inverno. Tuttavia, tra i vicoli del centro, c’è un cinema. Centosessanta posti, programmazione con prime visioni, gestione affidata a un gruppo di volenterosi locali, un premio Carlo Lizzani nel 2022 per celebrare il coraggio dell’impresa. È intitolato a Ettore Scola, che nel paesino dell’aquilano passava le vacanze, e sulle pareti della piccola sala campeggiano le locandine dei suoi film e le riproduzioni dei suoi disegni. All’ingresso, in bella vista, ci sono i manifesti di due film recenti: C’è ancora domani di Paola Cortellesi e Io, noi e Gaber di Riccardo Milani. La coppia, infatti, ha scelto Pescasseroli come seconda casa.
“Ho frequentavo l’aquilano sin da piccolo – spiega il regista – perché da qui provenivano dei miei lontani parenti, poi un amico mi ha fatto scoprire il versante della Valle del Giovenco e della Val di Sangro. Da bambino rimanevo incantato dagli animali per strada, come se fossimo dentro una favola, con il tempo mi sono lasciato trasportare dalla musicalità del dialetto, che è davvero la lingua di un mondo a parte”.
Un mondo a parte, appunto, prodotto da Mario Gianani e Lorenzo Gangarossa per Wildside, società del gruppo Fremantle, e Medusa Film, è il suo nuovo film, dal 28 marzo in sala (più di 500 copie per il lancio), girato proprio tra Pescasseroli, Opi, Villetta Barrea e lago di Barrea, Sperone, Civitella Alfedena, Gioia dei Marsi (ma i due luoghi principali, Rupe e Castelromito, sono inventati: “un modo per proteggerli, le autorità locali si muovono sul filo della legalità” sorride il regista) e che Milani ha voluto presentare proprio al Cinema Ettore Scola. Anche perché, accanto ai protagonisti Antonio Albanese e Virginia Raffaele, a comporre la maggior parte del cast è la gente del luogo.
È la storia del maestro Michele (Albanese, alla quinta collaborazione con il regista) che, stanco di insegnare in un istituto della periferia romana, decide di cambiare vita e farsi assegnare in una scuola sperduta tra le montagne abruzzesi, dove la vicepreside Agnese (Raffaele, al debutto con Milani) lotta per mantenere aperta la struttura intitolata al poeta locale Cesidio Gentile detto Jurico e ora frequentata da meno di una decina di alunni, tutti riuniti in una pluriclasse. Per impedirne la chiusura, i due maestri sono disposti a tutto e si organizzeranno per accogliere bambini in fuga dalla guerra in Ucraina.
perdere un pezzo dopo l’altro
“Insieme alla sanità e alla cultura, la scuola – dice Milani – è una delle vere emergenze del nostro Paese. Le persone spopolano i piccoli borghi perché, un po’ alla volta, vengono eliminati i servizi essenziali. Mancano le palestre e le piscine, chi vuole fare sport deve affrontare cinquanta chilometri. Perdendo un pezzo dopo l’altro, ci siamo abituati al peggio, che è la cosa peggiore per un essere umano. È una distorsione del nostro tempo, una falla nella democrazia. Sono ossessionato dal senso di comunità: se è forte, se si raccoglie attorno a valori solidi, i muri cadono e i conflitti si sanano”.
Il paese di Rupe come metafora di un mondo che resiste e cerca di sopravvivere: “Se vuoi raccontare un Paese – riflette Milani – devi prenderti carico anche degli aspetti meno belli. Siamo in un momento storico in cui vengono messe in discussione la giustizia, la scienza, la scuola. Bisogna guardare con attenzione a quei territori che per molti sono solo mete da weekend: dobbiamo conoscere il loro quotidiano dal lunedì al venerdì, perché da queste comunità arriva un segnale di integrazione concreta e non ideologica”. E la scuola – tema caro a Milani dai tempi della sua opera prima Auguri, professore – diventa il perno di questa resistenza: “È come un pronto soccorso, la vita attiva della comunità passa attraverso quel luogo, gli insegnanti sono punti di riferimenti reperibili per ogni emergenza”.
agnese dolce agnese
Virginia Raffaele interpreta Agnese (in omaggio alla protagonista di una canzone di Ivan Graziani, tra le poche celebrità regionali: “non sappiamo venderci” sentenzia proprio la vicepreside), determinata e apparentemente ruvida, che tutti i giorni si accolla il viaggio da Avezzano perché crede nella missione del suo mestiere, ed è chiamata a risolvere qualsiasi problema del paese: “La scuola è la palestra per diventare esseri umani e per costruire futuro migliore. Ci vorrebbe più attenzione all’educazione civile e sentimentale, al rispetto del prossimo e, sì, anche all’educazione alla morte e all’abbandono”.
Ad aiutarla un’insegnante locale, Nenella, pendolare che ogni giorno prende la corriera per raggiungere Avezzano, partendo al buio e rincasando di notte: un aiuto necessario, secondo l’attrice, per cogliere le sfumature di un dialetto insidioso (“tra il thailandese e valdostano” scherza Albanese) e entrare in contatto con una dimensione, quella della montagna, che non le appartiene: “Non l’ho mai frequentata, ma mi sono sentita a casa, tant’è che, anziché tornare a Roma, sono rimasta qui anche nei weekend liberi: che ci tornavo a fare?”.
coppia vincente
Al contrario di Albanese, qui maestro idealista che insegna a “salvare il mondo prima di cena” (come il libro di Jonathan Safran Foer) e che, invece, la montagna la conosce bene: “Ho passato l’infanzia nel Parco delle Madonie e in un paesino di fronte al Resegone. Un film non mi cambia mai, però in due mesi di riprese ho riscoperto i silenzi di questo mondo abitato da persone perbene. E poi non avevo mai visto i lupi”.
È un connubio solidissimo, quello tra attore e regista: “Riccardo sa affrontare argomenti necessari con garbo e nobile leggerezza, mi lascia fare quello che voglio, focalizza l’attenzione su temi seri grazie all’ironia e all’onestà. E non è un modaiolo: non amo quel cinema che sembra una sfilata di moda, non amo i social non per snobismo ma perché mi piace fermarmi e riflettere”. “Non lo chiamerei alter ego – specifica Milani – ma diciamo che il personaggio di Come un gatto in tangenziale ero io: tutte le mie teorie si sbriciolarono quando mia figlia si fidanzò con un ragazzo di periferia. Anche qui, lui rappresenta il mio sguardo su questo territorio”.
E sull’ironia anche Raffaele è d’accordo: “Riccardo riesce a restituire quel gioco di contrasti. Agnese è tridimensionale, è un personaggio diverso da quelli che faccio di solito, Riccardo è venuto a vedermi in teatro e lì ha capito quanto amo il sottofondo malinconico dell’umorismo. L’aggancio con Agnese l’ho trovato proprio nella nostalgia, nell’appartenenza a un luogo che non c’è più, il luna park della mia famiglia all’EUR in cui sono nata è cresciuta e che ha chiuso quando avevo venticinque anni. La scintilla è scattata così”.
“la prima strada arrivata dopo la televisione”
Attorno alle due star, i bambini di Pescasseroli: “Hanno un enorme spirito di adattamento – afferma Milani – e nel film hanno raccontato se stessi. Qui a Pescasseroli il calo demografico è un problema vivo, le pluriclassi stanno diventando una realtà. Abbiamo girato a Opi in una scuola un tempo attivo e che, man mano, è diventata altro. I bambini di qui sono consapevoli dell’importanza della scuola, conoscono la storia del loro paese, sanno che qui la prima strada è arrivata dopo la televisione”.
Compresa quella del poeta Cesidio Gentile: “Ogni mondo a parte ha sempre un cantore – spiega Michele Astori, cosceneggiatore del film – che tiene le memorie e nobilita il luogo. Gentile è una figura affascinante: non potendo andare a scuola perché all’epoca c’era solo quella privata che gli era preclusa, ha imparato a scrivere mentre era al pascolo con le pecore. Metterlo nel film significa ridargli una giusta collocazione”.
I film non cambiano il mondo, ma Un mondo a parte (già visto in anteprima dal 12 al 15 marzo, con dodici istituti scolastici dei comuni di Frascati, Monte Porzio Catone, Monterotondo, Mentana, Senigallia, Pesaro e Cagli coinvolti da Alice nella Città in collaborazione con Medusa Film) non scansa il punto di vista politico: “Solo una scuola autorevole può aiutare un bambino a crescere – riflette Astori – altrimenti è difficile stringere un patto con le famiglie. Interrogarci su ciò che ogni giorno fanno gli insegnanti è uno dei temi del film”. Con uno sguardo al futuro, conclude Milani: “Nel film c’è anche Duilio, un ragazzo di vent’anni che ha deciso di coltivare la terra. Lui ha il diritto di restare e di realizzare un sogno. Le difficoltà esistono e non si devono ignorare: una scuola aperta salva una comunità”.