Steven Soderbergh è un artista veloce. Non costruisce carriere. Non batte strade dritte. Palma d’Oro a ventisei anni, Oscar a trentotto, successo globale poco dopo. Eppure resta fuori dal Pantheon. Non un Maestro. Non un Santo. Un fuggitivo. Soderbergh non ha un marchio. Ha un metodo. Saltare da un genere all’altro, da un set milionario a un film girato con l’iPhone. Ogni film è una fuga dall’idea di essere Soderbergh.

La poetica del movimento

La poetica di Steven Soderbergh ruota attorno a un concetto essenziale: il movimento. Movimento narrativo, movimento stilistico, movimento di genere. Fin dal suo folgorante esordio con Sesso, bugie e Videotape (1989) — Palma d’Oro a Cannes a soli 26 anni — Soderbergh ha mostrato una predilezione per i racconti fluidi, per le forme che si trasformano davanti allo spettatore, per i personaggi che fuggono dalle definizioni nette.

Sesso bugie e videotape (1989) @Webphoto
Sesso bugie e videotape (1989) @Webphoto

Sesso bugie e videotape (1989) @Webphoto

La sua regia è una macchina mutante: Soderbergh è spesso anche direttore della fotografia (con lo pseudonimo Peter Andrews) e montatore (come Mary Ann Bernard), modulando la propria estetica di volta in volta. La camera può essere nervosa e documentaria, come in Traffic (2000), oppure elegante e invisibile, come nella trilogia Ocean's (2001-2007). Può diventare asettica e clinica, come in Contagion (2011), o febbrilmente sperimentale, come in Unsane (2018), girato interamente con un iPhone. Soderbergh non ha una "firma" riconoscibile nel senso tradizionale: non cerca la ripetizione, bensì l’invenzione. È il regista della differenza, della variazione.

Tema costante: fuggire il sistema

I suoi film raccontano individui intrappolati in macchine più grandi di loro. Che si tratti del mondo della droga (Traffic), della speculazione finanziaria (Panama Papers, 2019), del mercato sanitario (Side Effects, 2013) o dell'industria del sesso (The Girlfriend Experience, 2009, poi anche serie TV), Soderbergh esplora sistemi complessi e ambigui in cui i singoli possono sopravvivere solo accettandone la corruzione o escogitando una fuga ironica.

Traffic (2000) @Webphoto
Traffic (2000) @Webphoto

Traffic (2000) @Webphoto

La dimensione morale è sempre sfumata: Soderbergh non giudica, osserva. I suoi protagonisti non sono eroi o antieroi, ma "agenti" dentro un meccanismo più grande di loro. Questa tensione si respira anche nei suoi film più leggeri: Ocean's Eleven non è solo un heist movie brillante, è anche una riflessione sulla costruzione dell'immagine, sul fascino dell'arte dell'illusione.

Se vuoi amare Soderbergh, inizia dalle certezze:

  • Sesso, bugie e videotape (1989): il film che ha praticamente inventato l’indie americano anni ’90.
  • Erin Brockovich (2000): la working-class hero con una grande Julia Roberts.
  • Traffic (2000): l’epopea della droga che sembra dire "tanto è tutto inutile".
Erin Brockovich (2000) @Webphoto
Erin Brockovich (2000) @Webphoto

Erin Brockovich (2000) @Webphoto

Se vuoi capire davvero Soderbergh, però, devi perderti nei territori meno battuti:

  • The Limey (1999): un noir zen, montato come un sogno post-sbornia.
  • Bubble (2005): attori presi dalla strada per raccontare una storia che nessun grande studio avrebbe mai prodotto.
  • Che (2008): quattro ore di guerriglia marxista girate come un documentario naturalistico. Nessuna indulgenza, zero propaganda. Solo la fatica, la polvere e il fallimento.

E poi ci sono gli oggetti misteriosi: The Informant!, Logan Lucky, Kimi, High Flying Bird, Lasciali parlare… Film che sembrano nati da una scommessa che vincere o perdere gli era indifferente.

Ocean’s Eleven (2001) @Webphoto
Ocean’s Eleven (2001) @Webphoto

Ocean’s Eleven (2001) @Webphoto

Perché non è tra i "Grandi"

Perché non vuole esserlo. Non costruisce un’opera-mondo. Non si consacra a un’estetica personale. Soderbergh lavora. Cambia forma. Accetta l’errore.
Mentre altri cementano la loro leggenda, lui gira dieci film, uno diverso dall’altro. Nessun culto. Nessuna retorica. Solo un moto perpetuo di invenzione. Se esiste un Olimpo del cinema, Soderbergh lo guarda di traverso. Preferisce girare film a budget medio, con troupe leggere, montare da solo, inventarsi ogni volta da capo.
Fondamentalmente lui non vuole un posto nell’Olimpo. Vuole un'uscita di sicurezza.