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José Tolentino de Mendonça, Aldo Cazzullo, Mario Martone (foto di Karen Di Paola)
Da Napoli a Venezia passando per il Portogallo: sono rotte che si uniscono in una carta che non è solo geografica ma anche umana, che da così lontane si scoprono invece così vicine. È una congiuntura speciale, come quella tra il Cinema e l’Architettura, i due “settori” della Biennale che, grazie al Dicastero per la Cultura e l’Educazione in collaborazione con la Fondazione Ente dello Spettacolo, si sono incontrati in occasione dell’evento “Amicizia Sociale: Incontrarsi nel Giardino”, che si è svolto presso il Padiglione della Santa Sede a Venezia, ospitato dall’Abbazia di San Giorgio Maggiore – Benedicti Claustra Onlus, e sostenuto da DD Eventi Marketing & More.
Un appuntamento suggellato dal dialogo (tenutosi presso la Compagnia della Vela) tra il cardinale José Tolentino de Mendonça, prefetto del Dicastero per la cultura e l’educazione (nato, appunto, in Portogallo, a Machico), e Mario Martone, il regista napoletano insignito con il Premio Robert Bresson 2023, che anticipa la proiezione dell’ultimo film dell’autore, Nostalgia. “La decisione di aprire il Padiglione a Venezia – spiega Tolentino – ha a che fare con la necessità di parlare di educazione in termini trasversali, affinché si possano costruire idee. In questa Europa che non sa più come fronteggiare l’emergenza educativa, dobbiamo aiutarci per capire il valore dell’incontro, qualcosa che riguarda tutta la società e non soltanto i ragazzi. E, allo stesso tempo, dobbiamo chiederci cosa facciamo per i nostri vecchi”. Decisivo il magistero del pontefice: “Papa Francesco contribuisce a offrire una visione che va oltre la predominante centralità del singolo e che mette al centro la ricerca di senso, la necessità di una vita spirituale che si riflette nell’esperienza con gli altri. È una proposta culturale ma anche una preoccupazione educativa fatta di grandi parole e grandi gesti”.
A introdurre l’incontro, moderato dal giornalista Aldo Cazzullo, il Patriarca di Venezia, Francesco Moraglia: “I film devono indurre a riflettere, promuovere una discussione, favorire l’incontro con quella realtà che spesso tendiamo a subire. E che invece dobbiamo affrontare con la virtù dell’amicizia, la base di ogni incontro. È fondamentale creare socialità laddove ci sono degrado, ingiustizia, solitudine”. E pensando proprio a Nostalgia, un film incardinato sul tema dell’amicizia: “C’è quando si va oltre le ragioni personali, ci si guarda negli occhi per capire che non si è soli nella società e che l’amore è verità. Non possiamo dire di amarci se non ci collochiamo in uno sfondo di verità. Oggi la situazione è drammatica: sono state uccise troppe donne dall’inizio dell’anno. Manca la capacità di credere nell’amicizia come realtà fortemente antropologica. Il film di Martone è uno di quelli che ci rende più ricchi e impegnati”.
Tratto dal romanzo omonimo di Ermanno Rea, Nostalgia è un progetto che nasce da altri: “È un incontro fortunato. Luciano Stella (presente in sala, ndr) aveva talmente amato il libro da averne comprato i diritti. Ippolita Di Majo, con cui scriviamo insieme (è anche la moglie, ndr), l’aveva già adocchiato. E poi c’è la figura di padre Antonio Loffredo (per vent’anni parroco visionario del Rione Sanità a Napoli, ndr), di cui avevo sentito parlare e che ho ritrovato nelle pagine del libro. Avevo sempre rifiutato le proposte altrui, ma stavolta si è accesa una luce: c’erano tanti piani di lettura, tutta la storia – che è più ampia di ciò che si vede nel film – esplora la complessità di Rea, un intellettuale della tradizione comunista che si scopre folgorato da un prete”.
E quest’affinità con il mondo cattolico è confermata dalle parole di Tolentino: “È un film che mi ha colpito sin dalla prima visione. Da una parte per la storia, perché il cinema ci fa credere nella vita delle persone. Dall’altra per il titolo, che etimologicamente vuol dire ‘dolore del ritorno’, qualcosa che viene sperimentato nel film: è una storia appassionante perché va alla ricerca di ciò che ormai è impossibile ritrovare. È importante seguire il film non per dove arriva ma per come ci arriva”.
Per Martone è stata anche una sfida: “Si svolge tutto in un quartiere, a parte nell’incipit non si esce mai dalla Sanità. Invito a considerare ogni scena nel contesto generale: ogni immagine è collegata. E poi non conoscevo bene la Sanità: c’è qualche cosa di vivo che accade nei giardini, come diceva il mio amato Leopardi, ci sono la vita e la lotta, il conflitto e la bellezza”.
Sanità, una parola e un destino: “Se ci riferiamo alla sua semantica, vuol dire salute e salvezza. Stiamo discutendo, allora, della possibilità o meno di una redenzione. Ma ci sono tante forme di sanità: nei gesti, negli sguardi, negli incroci. Dal punto di vista letterale è stupendo, da quello teorico è un viaggio che lavora sul concetto di tempo, dal quello narrativo si configura come una parabola, una meditazione su Napoli, sul suo tessuto problematico e affascinante. E Martone riesce a renderla una rappresentazione di tutte le grandi città: Napoli è ovunque”.
Una città che troppo spesso balza agli onori delle cronache per la sua dimensione violenta, come nell’ultima, tragica vicenda che ha coinvolto il giovanissimo musicista Giovanbattista Cutolo, ucciso per futili motivi: “Ho voluto dedicare il Premio Bresson a lui – spiega Martone – perché era un ragazzo completamente estraneo alla camorra, vittima di un veleno che scorre tra le due anime di Napoli. Perché, sì, ne esistono due: una perbene, gioiosa, che ha conosciuto grandi stagioni artistiche e culturali; e un’altra dominata da chi coltiva cattivi interessi, ben raccontata da Roberto Saviano in Gomorra. Quel libro era il grido di una parte della città che denunciava quell’altra parte di fronte alla quale ci si ostinava a chiudere gli occhi. Tenere separate queste due Napoli fa esplodere tutto, innesca un pericoloso equilibrio, logora la città. Se alla politica chiediamo risposte vere, non possiamo non notare che ci sono molti uomini di chiesa che fanno molto per il prossimo”.
Ma Napoli è anche un luogo in grado di cambiare lo sguardo di chi ci passa: “Ha una storia strana – ragiona il regista – che agisce in profondità: ti dice le cose a distanza. Prendete Caravaggio: nei suoi quadri si percepisce benissimo l’incontro con Napoli. E Leopardi, certo. Oppure Anna Maria Ortese, romana, che ha scritto uno dei libri più belli sulla città, Il mare non bagna Napoli. Io ho avuto la fortuna di nascerci, ma è difficile prendere una posizione netta: quello che si può fare è abitarla e non farsi abbattere dalla tragedia quotidiana”. In Nostalgia, Padre Loffredo diventa don Luigi Rega, interpretato da Francesco Di Leva, che per questo ruolo ha vinto il David di Donatello: “È una scelta ponderata: è nato in una famiglia di panettieri di San Giovanni a Teduccio, è diventato attore e poi, nella palestra di una scuola abbandonata in quel quartiere, ha fondato il NEST, teatro e laboratorio dove offre occasioni di riscatto a ragazze e ragazzi. Il suo è un percorso simile a quello di Loffredo: perciò è così credibile”.,
Nostalgia racconta di un ritorno a casa: “Nella storia del protagonista – riflette Tolentino – c’è quella di tutti noi. E il motivo è molto semplice: affronta la morte di chi amiamo. È il film più bello che ho visto nel 2022, alla fine dell’anno lo ricordavo di più, come una musica lenta che entra dentro e non ci lascia più”. E il cinema è una passione condivisa anche con Francesco: “Il Papa racconta spesso come il cinema italiano sia stato decisivo nella sua formazione. Lui sostiene che il cinema non educa solo il nostro sguardo ma anche la nostra capacità di ascolto: non è un modo di vedere ma anche di sentire. C’è una scuola del sentimento, in Nostalgia, che non riusciamo a ridurre a parole: c’è tutto quello che abbiamo sperimentato. Le cose che rimangono”.