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David Cronenberg
Da sempre ossessionato dalle mutazioni del corpo, nel suo nuovo film, The Shrouds, David Cronenberg mette in scena l’ultima trasformazione possibile da filmare: la decomposizione della carne. In un lavoro funereo e (per coerenza) testamentario, il regista canadese, approfondisce il fantasma di un’intera carriera, cercandone traccia nel sudario del cinema. L’urgenza sembrerebbe più diretta, l’indagine confinata alla scena interiore di un lutto insuperato: la perdita della moglie.
L’alter ego è anche fisicamente somigliante, Vincent Cassel. Nella finzione è Karsh, produttore audiovisivo, uomo visuale, trafficante di immagini. Karsh, come il grande fotografo canadese specializzato in ritratti. Il volto che inquadra è quello più temibile, il film più audace girato alle soglie dell’Oltretomba.
Una camera puntata sul cadavere in disfacimento dell’amata, immagine tabù per antonomasia, da ruotare, zoomare, dettagliare a piacimento, disponibile tramite app dedicata sugli smartphone dei cari viventi. Tombe come schermi e putrefazioni in diretta, a condensare secoli di rimozione dell’immaginario occidentale, oblio dell’origine mortale di ogni immagine, da sempre e per sempre velo della morte.
Così anche l’immagine carnale, del corpo che rimanda all’incorporeo, all’invisibile, scrigno dei sacri segreti, è nei fatti icona dell’assenza. Ma se l’ontologia dell’immagine non diventa mai in Cronenberg teologia del corpo, nemmeno si dà il contrario, come nichilismo della materia. Quello stesso rimando all’assenza è comunque più del nulla e meno di una presenza. Le cose sono più complicate dei nostri monismi e dualismi, sembra suggerire il regista canadese.
La consumazione del corpo amato rivela al visore semi-onnipotente della tecnologia qualcosa che non dovrebbe esserci: placche di origine sconosciuta, attaccate alle ossa. Sono organiche o inorganiche? E perché sono presenti solo in nove dei cadaveri ospitati dal cimitero high tech progettato da Karsh? Perché proprio le loro lapidi sono state vandalizzate da un misterioso gruppo terroristico, forse implicato con l’ecologismo, forse con il mercato della tecno-sorveglianza che alimenta gli appetiti di potenze globali come la Cina?


The Shrouds
Non senza ironia (cringe), Cronenberg aggiunge strati su strati alla scarna desolazione dei corpi in rovina, che sembrano una parodia dark di un horror vacui escatologico, diffuso, triste e mascherato, mettendo sul piatto hackeraggio, mercato dei dati, AI ribelle, ecoterrorismo, paranoia e ossessione del doppio. Diversioni più che diversivi, tale è il rilievo di temi che insufflano lo status questionis del contemporaneo.
Ma Cronenberg non è interessato troppo alla pista tecno-politica, nella misura in cui la immagine nella forma di una spirale che si avvita su sé stessa. Registra semmai il pervertimento della natura delle cose, l’esilio dal mondo fisico, il sovvertimento continuo del concreto e dell’oggettuale, dove anche la forma umana, aggrappata al corpo come all’ultima frontiera della propria inviolabilità, si arrende al dogma della dematerializzazione, del trascendentalismo digitale. Il commiato all’amata si allarga a quello dell’intera specie? Difficile che il regista canadese avalli simili massimalismi.
Certo è che The Shrouds ha in sé qualcosa di definitivo, un grumo di ineluttabilità (di cui l’inevitabilità tecnologia è solo un aspetto). Nel suo cupo e ieratico essenzialismo, tratto di un estetismo astratto e computazionale, il film cerca ancora nell’eros, vitale disperazione di corpi che si fondono in armonie superiori, un deterrente all’oblio.
Un eros spiritualizzato, proveniente da un Oriente (il personaggio di Soo-Min) che, più che cieco, vedrebbe altrimenti dal nostro Occidente accigliato. Viaggio à rebours, da Ovest a Est, di ritorno dal regno dei morti. Oppure no. Il finale suggerisce un’altra pista ancora, la trama di un’ulteriore allucinazione. Spettro di un mondo esangue, ridotto a residuo digitale.