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Roberto Herlitzka in Il rosso e il blu
Con quella faccia un po’ così, Roberto Herlitzka era condannato a restare impresso nella memoria. “Non è una faccia rassicurante – ha detto una volta – ma posso fare sia il buono che il cattivo. Il mio primo ruolo al cinema nel film fu ne La villeggiatura di Marco Leto ed era quello di un capo manipolo fascista, perfido e cattivissimo. Anche in Marianna Ucrìa faccio il cattivo ma ne Il mnemonista o ne L’ultima lezione non è stato così”. Una faccia che non si dimentica: gli occhi sbarrati pronti a stringersi, le rughe come solchi nella terra, il naso aquilino a insinuarsi nelle crepe, il senso aristocratico per un disfacimento elegante. E poi la voce, abituata a penetrare nel buio del teatro, che da squillante poteva scoprirsi tenebrosa, con un controllo del registro che è sinonimo di potenza. C’entrerà pure il cognome, chissà, dal suono duro e incidentato (il papà era un ebreo ceco, la mamma una traduttrice italiana cattolica), ma è davvero impossibile dimenticare Herlitzka, morto oggi a 86 anni.
Un attore monumentale, che ha dato tutto al teatro, dove – ipse dixit – “le cose devono diventare assolute, anche la quotidianità, e tutto deve essere rappresentato perché puoi vedere solo la quintessenza delle cose, non la loro presenza”, ed è stato accolto da un cinema desideroso di sguardi irregolari, figure perturbanti, sorrisi al contrario, spigoli contro i quali abbiamo bisogno di inciampare.
Non è un caso che ad affezionarsi a questo signore allampanato, capace di trascendere le epoche e comunque sempre contemporaneo, sia stata una sovversiva del grottesco come Lina Wertmüller, non solo al cinema (citiamo almeno il socialista di Pasqualino Settebellezze, coscienza critica e portaparola di chi ha avuto il coraggio di opporsi al fascismo, e il servile segretario del ministro in Scherzo del destino in agguato dietro l’angolo come un brigante da strada) ma anche a teatro (addirittura en travesti: è la terribile aguzzina nazista di Lasciami andare, madre).
E non è un caso che Marco Bellocchio l’abbia chiamato spesso, affascinato dalla sua presenza fantasmatica e dalla vocazione alla scomodità. Eludendo la mimesi e il santino agiografico, Herltizka regala il suo capolavoro d’attore sul grande schermo con Buongiorno, notte, in cui è un indimenticabile Aldo Moro (l’impossibile camminata finale è uno degli apici dell’autore). Ma è stratosferico anche come senatore berlusconiano nonché “psichiatra che dà medicine” di Bella addormentata, il conte vampiro di Sangue del mio sangue (da antologia il dialogo con il dentista Toni Bertorelli, altro grande irregolare), il prete astronomo di Fai bei sogni.
Herlitzka è sempre memorabile. Lo è come vecchio sceneggiatore misantropo de Il corpo dell’anima dell’appena scomparso Salvatore Piscicelli, in cui al crepuscolo della vita sperimenta la possibilità di un amore fisico al di là dell'evidenza del corpo (che mostra le ferite del tempo volato via su di lui non senza crudeltà) con una donna che conosce il sesso e lo pratica con generosità. Lo è come squallido marito-zio che sposa – e scandalosamente ama – la muta nipote Marianna Ucrìa per obblighi di famiglia. Lo è come Federico Caffè, l’economista svanito nel nulla rievocato ne L’ultima lezione, dove l’attore s’incarica di incarnare un mistero. Lo è come decrepito insegnante de Il rosso e il blu, cinico e arrogante, disilluso e depresso, che tratta male gli alunni, fuma in classe ma si riscatta con un monologo-lezione da brividi. Lo è come anziano malato in Sette opere di misericordia, che sopravvive nel degrado e nell’anticamera della morte.
Il catalogo è sconfinato – e non ci pronunciamo sul teatro – e potrebbe proseguire con il fatuo cardinale che dispensa ricette e pratica esorcismi in La grande bellezza, l’imprevedibile Barabba di Secondo Ponzio Pilato, il papà contadino dilaniato dal lutto ne L’ultimo terrestre, il pianista a disagio in un corpo maschile in Aria, l’avatar di Gianni Letta in Loro e quello di Indro Montanelli nella docufiction Indro e nel cameo in 1993, il maestro di “seconde vite” in Lontano lontano, la voce di Luigi Pirandello nell’estremo Leonora addio. È stato anche una specie di Furio Scarpelli in Notti magiche, dove insegna le regole della commedia: “Ma il dolore, dov’è il dolore? Vogliono fare ridere senza dolore eh... Ma come si fa? Dov'è la sostanza da acchiappare? Esiste Totò senza la miseria, la fame? Charlot senza la morte, la malinconia? Dov’è l’ombra? Dov’è il timbro? Non pervenuti!”.
Ed è diventato anche un meme grazie alla serie Boris, in cui era il grande attore Orlando Serpentieri che in una scena entrata negli annali chiede di non far parte più di una fiction di quart’ordine: “Ecco, io gradirei morire. So benissimo come vanno queste serie: ricicciano, hanno sette vite, te le ritrovi la notte, te le ritrovi l’estate. Guardi, per carità Ferretti, mi faccia morire".
Sic et simpliciter, uno dei più grandi attori del dopoguerra: piace pensarlo in cammino come il suo Moro in Buongiorno, notte, con quel sorriso sempre sospeso tra stupore e disincanto.