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Spesso la consapevolezza nasce dall’incubo. La sofferenza distrugge o rende più forti. È da qui che sgorga l’essenza dell’horror, che per alcuni è un crocevia della morte. Il regista Osgood “Oz” Perkins padroneggia queste atmosfere, perché arrivano da lontano. È cresciuto a pane e cinema: è figlio di Anthony Perkins, costretto sempre a nascondere il suo essere bisessuale e morto di AIDS a sessant’anni, e della modella e attrice Berry Berenson, vittima degli attentati dell’11 settembre. Era a bordo di uno degli aerei che si sono schiantati contro le Torri Gemelle. I traumi del passato si specchiano nella macchina da presa.
A colpire Perkins da adolescente è stato Shining. Lo ha visto nella sua casa di campagna, caratterizzata da enormi pareti di vetro. L’atto del guardare attraverso lo specchio è proprio l’apertura di Longlegs. Una bambina nella sua cameretta viene attratta da una macchina ferma all’esterno, nella neve. Così sceglie di avvicinarsi, sfidando l’inferno. I film di Perkins attingono dal suo vissuto, alimentando un’inaspettata vena intimista.
In Sono la bella creatura che vive in questa casa (2016) c’è addirittura un omaggio esplicito al padre, tratto da La legge del Signore di William Wyler. Il genitore dovrebbe essere una figura che protegge, invece per Perkins spesso dietro ai sorrisi si annida l’oscurità. È il caso di Longlegs, ma non solo. Il mistero che sfocia nel brivido (figlio della sua infanzia?) è una costante delle storie dirette da Perkins. Fino ad arrivare all’elaborazione del lutto.
The Monkey,in uscita nel 2025, tratto da un racconto di Stephen King, affronta proprio il tema della perdita di un genitore. Il giocattolo a forma di scimmia (la fonte del massacro) era appartenuto al padre dei protagonisti. Si percepisce l’assenza, la mancanza di una famiglia. In February – L’innocenza del male (2015) due ragazze restano bloccate durante le vacanze invernali nella prestigiosa scuola di Bramford. Nella solitudine, il male si fa mattatore, mentre i genitori sono irraggiungibili. Perkins dipinge un ritratto generazionale, un percorso di crescita dalle tinte dark. Il cineasta ama destrutturare, ripensare gli immaginari (Longlegs dialoga con Il silenzio degli innocenti). E non è un caso che abbia ripensato la fiaba dei Fratelli Grimm nel suo Gretel e Hansel del 2020, in cui fratello e sorella si scoprono impotenti davanti al pericolo.
La violenza è maggiormente psicologica, la regia rigorosa, il terrore scaturisce dai primi piani. Le inquadrature sono geometriche, i colori si spengono. La percezione è quella di un gelo tombale, di un dolore che sorge dal profondo. Come se l’orrore, per Perkins, fosse una lunga e continua psicanalisi.