Tutte le nomination

Chi c’è

La novità: Karla Sofía Gascón – Emilia Pérez
Quando si dice fare la Storia: è la prima attrice transgender a essere nominata all’Oscar. Così forte da superare anche le polemiche dell’ultimo minuto: l’utilizzo dell’AI per l’intonazione nelle canzoni; la “frode di categoria” (il suo minutaggio è di poco inferiore a quello di Zoe Saldaña, candidata come miglior non protagonista); l’ostilità dei messicani infastiditi dalla rappresentazione.

Chi non c’è

Le veterane: Angelina Jolie, Nicole Kidman, Kate Winslet
Doveva essere l’anno dei grandi bis. Appuntamento rimandato per tutte le dive in campo: Jolie (Maria), Kidman (Babygirl), Winslet (Lee Miller) devono rinunciare per il momento alla seconda statuetta e cedere il passo a una cinquina composta per quattro quinti da attrici mai candidate prima (solo Cynthia Erivo è al secondo appuntamento). Compresa un’altra veterana, Demi More, che a 62 anni si prende una bella rivincita su un’industria che l’aveva dimenticata.

Coralie Fargeat e Demi Moore
Coralie Fargeat e Demi Moore

Coralie Fargeat e Demi Moore

(Karen Di Paola)

Chi c’è

France en marche: Coralie Fargeat – The Substance
Un anno dopo l’exploit di Justine Triet, un’altra regista (e sceneggiatrice) francese punta all’Oscar. E sfida un connazionale, il più potente Jacques Audiard (Emilia Pérez), portando a undici il totale dei registi francesi candidati nella storia (prima di loro Jean Renoir, Claude Lelouch, François Truffaut, Edouard Molinaro, Louis Malle, Michel Hazanavicius e i naturalizzati Costa-Gavras e Roman Polanski).

Chi non c’è

Il predestinato mancato: Luca Guadagnino – Challengers e Queer
La regola è nota: chi entra papa esce cardinale. Ma al conclave bisogna essere invitati. E lui, che aveva due film nel carnet, l’uno molto amato e l’altro più controverso, all’inizio della stagione era dato tra i favoriti per entrare in cinquina. Niente da fare: entrambi i film sono rimasti a bocca asciutta. E per il nostro autore più internazionale, eterno predestinato all’Oscar, è una vera delusione.

Chi c’è

Wild Boy 1: Sebastian Stan – The Apprentice – Alle origini di Trump
È la nomination più selvaggia di tutte: quante volte è accaduto che un attore (peraltro di natali non americani: Stan è rumeno) venisse candidato interpretando il presidente americano in carica – benché appena eletto, il che rende tutto ancora più singolare – in un film ostile al presidente stesso e praticamente boicottato dal sistema? La risposta è semplice: mai. (Bella giornata anche il non protagonista Jeremy Strong, che sfida il favorito Kieran Culkin: che goduria per i fan di Succession).

Chi non c’è

Wild Boy 2: Daniel Craig – Queer
Era la sua grande occasione dopo anni di 007 (ingaggio invidiabile ma anche una gabbia per un attore) e Benoit Blanc (nuovo franchise, nuovi milioni), ma un ruolo coraggioso, un film originale, un’intensa campagna elettorale non sono bastati a garantirgli la prima candidatura in carriera.

© 2024 Anora Productions, LLC
© 2024 Anora Productions, LLC
© 2024 Anora Productions, LLC (Augusta Quirk)

Chi c’è

L’autore impalmato: Sean Baker – Anora
Con quattro candidature personali (produttore, regista, sceneggiatore, montatore) rischia di diventare la persona più premiata in una sola edizione. È la sua definitiva e meritata consacrazione: alla grande occasione non ha rinunciato allo spirito indie, allo sguardo malinconico, alla dedizione per la commedia. E conferma la centralità di Cannes: è il terzo anno consecutivo che il vincitore della Palma d’Oro fa il triplete (nomination per film, regia e sceneggiatura).

Chi non c’è

Il Leone snobbato: Pedro Almodóvar – La stanza accanto
Tutti, qualche settimana fa, avrebbero scommesso su di lui: come ignorare il primo film in lingua inglese di un venerato e iconoclasta maestro europeo, peraltro lanciato a settembre dal Leone d’Oro e sostenuto da due attrici molto stimate? E invece l’Academy, che l’ha già premiato con due Oscar, ha completamente ignorato questo dramma sull’eutanasia, che in generale è stato forse più rispettato che davvero amato.

Chi c’è

Le doppie nomination
A parte Emilia Pérez, c’è un altro titolo candidato sia come miglior film sia come miglior internazionale: è il brasiliano Io sono ancora qui, trainato anche dall’accorata performance di Fernanda Torres (un’altra nepobaby). E c’è il lettone Flow – Un mondo da salvare, presente sia tra gli internazionali sia nella cinquina dell’animazione. Senza dimenticare l’ottima prestazione de Il robot selvaggio, in gara per animazione, colonna sonora, suono. Segno di una trasversalità che non si vede spesso dalle parte dell’Academy.

Chi non c’è

L’Italia: Vermiglio
La strada era in salita, si sapeva, ma l’insperato accesso nella shortlist aveva acceso qualche speranza. Maura Delpero, in fondo, aveva avvertito tutti: come si fa a fare campagna elettorale senza un budget adeguato? Ha ragione, si pensi solo al grande investimento di un anno fa…

Vermiglio
Vermiglio

Vermiglio

Chi c’è

Starpower: Timothée Chalamet – A Complete Unknown
Seconda candidatura in carriera prima dei trent’anni (un record, meglio di lui solo James Dean, che ebbe due nomination postume), protagonista di due film candidati nella categoria principale (l’altro è Dune: Parte Due), in caso di vittoria sarebbe il vincitore più giovane della storia: il prossimo 2 marzo, infatti, avrà 29 anni, 2 mesi e 3 giorni, battendo il detentore del record, Adrien Brody, premiato nel 2003 per Il pianista a 29 anni,11 mesi e 9 giorni e candidato anche quest’anno per The Brutalist. Una delle sfide più interessanti dell’annata.

Chi non c’è

Diversità: Adam Pearson – A Different Man
La categoria del miglior attore non protagonista era una delle più blindate della stagione, ma sarebbe stato bello vedere anche questo attore britannico affetto da neurofibromatosi, figura di spicco nell’attivismo contro le deformità, che irrompe nel film con uno slancio davvero fuori dal comune e del tutto antiretorico.

Chi c’è

La prima volta: Isabella Rossellini – Conclave
Data per scontata, è comunque una nomination importante: è la quarta attrice italiana candidata all’Oscar dopo Anna Magnani, Marisa Pavan, Sophia Loren e Valentina Cortese, decima persona italiana in gara per l’interpretazione (non capitava dai tempi di Roberto Benigni). Ma l’esiguo screen time (meno di 8 minuti) della nepobaby più amabile del mondo non è un record: Beatrice Straight vinse un Oscar per 5 minuti in Quinto potere, Judi Dench per poco di più in Shakespeare in Love.

Chi non c’è

La prima volta... la prossima volta: Selena Gomez – Emilia Pérez
Molto attesa dalla fanbase ma anche molto criticata (l’accento messicano non sarebbe impeccabile), la popstar resta fuori da una cinquina che accoglie, invece, una sua collega di pari grado, Ariana Grande in Wicked. Dato che come attrice fa sul serio (le candidature all’Emmy per Only Murders in the Building), l’ingresso nel salotto buono del cinema potrebbe essere solo rimandato.

Selena Gomez in Emilia Pérez
Selena Gomez in Emilia Pérez

Selena Gomez in Emilia Pérez

Chi c’è

La riscossa del musical
Tra i dieci titoli in corsa per il miglior film ci sono Wicked, il fenomeno culturale della stagione (soprattutto negli Stati Uniti, dov’è un’istituzione), ed Emilia Pérez, il cavallo con cui Netflix punta all’assalto dell’Oscar sempre mancato. Accadde anche nel 1965, My Fair Lady (che vinse) e Mary Poppins, e nel 1968, Oliver! (che vinse) e Il favoloso dottor Dolittle, ma all’epoca la categoria era limitata a cinque titoli. L’ultimo musical a trionfare fu Chicago (2002).

Chi non c’è

Il sesso
Babygirl, dove Kidman è una manager che intreccia una relazione perversa con lo stagista. Queer, con Craig coinvolto in avventure sessuali sospese tra romanticismo e tossicità. Challengers, triangolo tra amore e tennis con due uomini e una donna. D’accordo, c’è Nosferatu, in cui (spoiler) la questione di fondo tocca il tema dell’appagamento, e in fondo anche Anora The Substance toccano il tema in qualche modo, ma com’è che fine ha fatto l’erotismo?

Chi c’è

L’eterna candidata: Diane Warren – The Six Triple Eight
16. Sono 16 volte – la settima consecutiva – che questa prolifica cantautrice finisce nella cinquina per la miglior canzone. Più che un attestato di stima, pare un accanimento, considerando che, al momento, una sua vittoria è impensabile. Dopotutto, l’Academy ha già provveduto a premiarla con un Oscar alla carriera nel 2023.

Chi non c’è

I dimenticati: Trent Reznor e Atticus Ross – Challengers
A conferma che i Golden Globe sono premi precursori degli Oscar solo per chi non ha la pigrizia di leggere i dati, ecco che i vincitori in carica del premio per la colonna sonora sono stati ignorati dall’Academy. I due, già vincitori nel 2011 e nel 2021, scontano la debolezza elettorale di Challengers ma avrebbero meritato di essere nonimati anche per la miglior canzone, la strepitosa Compress/Repress.