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Micaela Ramazzotti sul set di Felicità - Foto Lucia Iuorio
"Era un film che sognavo la notte, nelle mie fantasie c'era questa famiglia, i Mazzoni da Fiumicino, con due figli fragili. Volevo raccontare l'emancipazione di questi due ragazzi nati e cresciuti in questo contesto tossico, disfunzionale. Un percorso difficile, soprattutto quando sei in una famiglia che ti trascura, che ti vessa, che indebolisce i figli, un rapporto tra vittime e carnefici. E queste due anime buone proteggono i loro genitori davanti agli altri, dove tutti vedono una specie di autoinganno. L'infelicità rende stanchi, indebolisce la testa e il fisico, può durare a lungo e questo film mi piacerebbe molto che parlasse allo spettatore, che apra un confronto sulla questione dell'emancipazione, sulla possibilità di andare via, di avere il coraggio e riuscire ad intercettare la malattia, la morbosità: l'incuria è sempre molto vicino a noi, e bisogna ribellarsi".
Micaela Ramazzotti passa dietro la macchina da presa. Lo fa con Felicità - oggi in Orizzonti Extra a Venezia 80 e dal 21 settembre in sala con 01 distribution - un film "ispirato a qualcosa di autentico, che parla di una famiglia patologica, di un percorso psichiatrico, di una relazione squilibrata, di mediocrità educativa e sociale e di come lo spirito dell’Italia di questi anni si rifletta sulle persone meno attrezzate", dice ancora l'attrice, neoregista.
Anche autrice della sceneggiatura, insieme alle esordienti Isabella Cecchi e Alessandra Guidi, Micaela Ramazzotti interpreta Desirè, giovane donna che lavora sui set cinematografici come acconciatrice, personaggio che in qualche modo rappresenta la summa di tante altre figure femminili già incarnate sullo schermo dall'attrice di
La prima cosa bella e La pazza gioia: "Lei è vessata, fragile, infelice, con l'angoscia di vivere. In un certo senso ho messo in lei tutte le donne che ho interpretato fino ad ora: mi piace flirtare con i personaggi fragili, poi però Desirè acquisisce forza, coraggio e su quel treno alla fine il fratello ce lo mette lei. Desirè si emancipa dal momento in cui capisce che è l'unica che può salvare il fratello: aiutando gli altri riesci a crescere, a fortificarti".Il fratello, nel film, è Claudio, ragazzo ingabbiato nelle strette mura della casa dei genitori, fiaccato da un disagio psichico che lo porta alla depressione. Lo interpreta Matteo Olivetti, che nel 2018 esordiva sullo schermo con i fratelli D'Innocenzo in La terra dell'abbastanza: "Entrare in questo personaggio non è stato facile, abbiamo assistito a terapie di gruppo, esperienze reali dei pazienti. E questo mi è servito molto, ho avuto la fortuna di avere un buon analista e interpretare Claudio è stata una responsabilità, perché non è semplice dare voce a queste persone, sorta di fantasmi fragili che spesso vengono tenuti in una specie di teca, come fa la mamma che lo riempie di medicinali".
La mamma di Desirè e Claudio è Anna Galiena: "Noi attori ci siamo sentiti parte necessaria di questo racconto. Già la sceneggiatura era perfetta, compiuta, con tutte le sfumature di orrori e comicità. Ho sentito che Micaela sapeva dove volesse andare, non ho percepito fosse una debuttante alla regia. La cosa più bella è stata però vedere la differenza tra la Micaela attrice - con l'insicurezza tipica che accompagna ogni volta chi fa questo mestiere dopo ogni scena - e la Micaela regista, che ci ha saputi guidare in modo impeccabile".
A completare il quadro familiare è Max Tortora, padre che denigra in continuazione il figlio e al contempo tenta di sfruttare in continuazione la figlia, sia dal punto di vista economico sia per ambizione personale, schiavo di una mitomania che lo porta a voler sfondare nel mondo dello spettacolo: "La scrittura è sempre la parte più importante, i personaggi erano già delineati perfettamente. Questo aiuta molto perché camminare su un buon tappeto è più facile, poi sta a te capire quali sono i vari registri che puoi tirare fuori a seconda dei momenti. Interpreto un uomo dalle convinzioni ripugnanti, anche razzista, la cui ignoranza finisce per far ridere".
Fa parte del cast anche Sergio Rubini, nei panni di Bruno, professore universitario progressista e di larghe vedute, nonché compagno di Desirè: "Apparentemente il mio personaggio dovrebbe aiutarla ad affrancarsi da quella famiglia, ma in realtà non è capace di accoglierla e quindi vorrebbe sempre correggerla, diventando una figura giudicante e quindi tutti i suoi strumenti non servono a nulla, quasi come la parte politica che rappresenta, attenta alla facciata e poco al contenuto. La felicità però in fondo il personaggio di Desirè la trova, regalandola ad un'altra persona. E forse è proprio questo che significa essere felici".
E sull'esordio dietro la macchina da presa della Ramazzotti, Rubini dice: "Oggi essere registi significa realizzare qualcosa, qui invece Micaela si è messa in ballo come autrice, attraverso questi personaggi ha voluto quasi raccontarsi. E l'esperienza è stata unica".
"Avevo una visione ben precisa del film e ho avuto la faccia tosta di mettermi lì e dirigerlo", dice fieramente la regista. Esperienza che avrà un seguito? "Il primo a doverlo decidere sarà il pubblico, io di sicuro proseguo a fare l'attrice, ma continuare a scrivere fa sempre bene e già abbiamo iniziato a buttare giù qualcos'altro", dice Micaela Ramazzotti, che si dice stimolata dal momento attuale: "Oggi ci sono più opportunità e questo dà più lavoro a più persone, le storie belle vanno sempre raccontate, che siano film per il cinema o prodotti seriali, come The Good Mothers che abbiamo portato a Berlino vincendo l'Orso d'Oro. Anche le piattaforme penso rappresentino un'opportunità in più per far arrivare queste storie a più persone possibili, anche giovanissimi. Però i festival rimangono i festival. Sono giornate incredibili queste e la bellezza di essere qui a Venezia è un regalo grande, non posso che ringraziare Barbera e la Mostra che ha dimostrato di volere bene a questo film".
A chi le chiede se il suo esordio non meritasse il Concorso del Festival, anche vista l'assenza di registe italiane in gara, Micaela Ramazzotti risponde "Sono felice così". La Felicità, d'altronde, non è una questione di collocazioni.