Da dove sbuca fuori Gints Zilbalodis? Chi è il regista che ha incantato l’ultimo Festival di Cannes con Flow, incredibile animazione presentata nella sezione Un Certain Regard, tanto celebrata dai frequentatori della Croisette quanto ignorata dalla giuria guidata da Xavier Dolan? Poco male, dato che si è guadagnato l’endorsement di Guillermo del Toro: “Se potessi immaginare il futuro dell’animazione – ha scritto su X, allegando una clip del film – queste immagini ne sarebbero l’inizio magnifico e mozzafiato”.

Ignoto – al momento – al grande pubblico, Zilbalodis è un ragazzo di ventinove anni, è nato in Lettonia e proprio in questo piccolo stato che conta meno di due milioni di abitanti ha mosso i primi passi in un settore che non è certo centrale nell’industria nazionale. Prima di essere selezionato a Cannes con l’opera seconda, ha diretto sette corti e un lungo. E fin qui non ci sarebbe niente di straordinario, essendo un tale cursus honorum piuttosto consueto. Eppure c’è sicuramente qualcosa che colloca Zilbalodis fuori dall’ordinario: in un mondo che ha trasformato l’indipendenza in un’etichetta (se non proprio in un genere, magari non codificato ma comunque riconoscibile), lui, indipendente, lo è stato per davvero, uscendo dalle secche dell’amatorialità per farsi autore naturale nonché self-made man.

Autodidatta, autofinanziato, autogestito: Zilbalodis viene dal basso, letteralmente, e il suo apprendistato avviene con i corti, spazi di manovra fondamentali per coltivare un nitido desiderio di futuro (“A volte mi sembrava di non avere abbastanza tempo: volevo passarne di più con i personaggi, svilupparli meglio e procedere un po’ più lentamente” ha dichiarato alla testata online “Short of The Week”).

Away
Away

Away

dal corto al lungo: il caso away

Il primo corto, Aqua, lo realizza a diciassette anni, nel 2012: è la storia di un gatto intrappolato in un mondo acquatico che deve adattarsi per sopravvivere (ci torneremo…). Seguono Priorities (2014), in cui un naufrago e il suo cane cercano di costruire una zattera, Followers (2014), sull’incontro tra un uomo evaso dal carcere e un ragazzo scappato da scuola, Inaudible (2016), con protagonista un musicista diventato sordo, e Oasis (2017), dove un ragazzo si sente minacciato da un’oscura presenza.

Da qui nasce Away (2019), opera prima che gli richiede quasi quattro anni di lavoro e su cui ha un controllo totale essendo fulgido esempio di one-man band (produttore, regista, animatore, sceneggiatore, montatore, direttore della fotografia, fonico, compositore, art director; solo gli effetti speciali sono di un’altra persona, Nicolas Cadorette Vigneau). Silent film, racconta il viaggio di un ragazzo che attraversa in moto una terra misteriosa, tra aridi deserti e splendide foreste, inseguito da un implacabile spirito oscuro: un po’ sogno e un po’ realtà, in parte riflessione sulla ricerca del proprio posto del mondo e in parte avventura in comunione e dialogo con la natura, riflette il processo creativo del film stesso.

L’allora nemmeno venticinquenne Zilbalodis strutturò il film in quattro capitoli, così da rendere più semplice il finanziamento (“Pensavo che nessuno mi avrebbe dato i soldi per realizzare un lungometraggio da solo, dato che non avevo esperienza prima” sempre a “Short of The Week”), ma anche per garantire un piccolo arco narrativo per ciascun capitolo, così da variare ritmo e atmosfera.

Di necessità, virtù: i soldi (pochi) arrivano dallo Stato, dalla pre-produzione si passa direttamente all’opera (“Non ho mai realizzato un film in modo tradizionale, con sceneggiatura e storyboard molto precisi”), la sperimentazione diventa la stella polare (“Non avevo un concept art, lo stile visivo e tutto il resto li ho scoperti mentre creavo e animavo… Se sbagliavo, dovevo aggiustare tutto da solo”), l’orizzonte dei riferimenti quantomai eclettico (“Le scene più lunghe sono ispirate a film come I Am Cuba e Y tu Mamá También e a Conan il ragazzo del futuro, serie anime fantascientifica post-apocalittica di Hayao Miyazaki – ha rivelato a “Cineuropa” – ma ci sono anche le influenze di band e musicisti come Sigur Rós, Trent Reznor e Atticus Ross, Max Richter, Gustavo Santaolalla, videogiochi come Journey e Shadow of the Colossus, i libri di Haruki Murakami”). Vince, a sorpresa, il Festival di Annecy, gotha dell’animazione mondiale, e all’élite di Cannes ci arriva insieme agli animali che, in Away, sono al centro di una delle scene più complesse: i gatti.

Flow ©Dreamwell Sacrebleu
Flow ©Dreamwell Sacrebleu

Flow ©Dreamwell Sacrebleu

storia di un gatto: flow

Uno di loro, come già nel primo corto del 2012, è protagonista di Flow, opera seconda che mantiene la scelta di non dare voce ai personaggi ma si avvale di un budget più cospicuo e di un’equipe più ampia. Introdotto da un meraviglioso piano sequenza che è un po’ la summa della poetica di Zilbalodis (afflato epico, rapporto con la natura, tensione spirituale, autosufficienza dei personaggi come riflesso dell’indipendenza dell’autore), Flow segue le vicende di un gatto solitario che, dopo un’alluvione, trova rifugio su una barca popolata da altri animali. Ciò che ha causato la scomparsa dell’umanità non viene mai spiegato, l’assenza dei resti si lega all’idea di una visione anche infantile, l’elemento trascendentale (se non biblico) emerge senza forzature.

Zilbalodis è il suo gatto, tanto avventuroso quanto determinato: persevera nel rifiuto dello storyboard (sequenze troppe complicate per una pianificazione stilizzata), costruisce un ambiente tridimensionale dove inserire i protagonisti, nega agli animali un’antropomorfizzazione semplicistica che di conseguenza nega la risacca del sentimentalismo e, soprattutto, usa la CGI in modo astratto, allontanandosi dal fotorealismo e dando quasi l’illusione del disegno a mano.

Ancora una volta, di necessità, virtù: si può produrre qualcosa di inedito ed emozionante anche con scarse risorse economiche. Zilbalodis, già acclamato come un maestro nascente, ci offre un’esperienza che oggi ha pochi eguali nell’animazione.