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Il regista Pablo Larraín a Venezia 80 con El Conde - Foto Karen Di Paola
"Augusto Pinochet non si è mai dovuto confrontare realmente con la giustizia: è morto in libertà, molto ricco, e tale impunità l'ha reso quasi eterno. Questa eternità è restituita al meglio dalla figura del vampiro".
Pablo Larraín torna in gara a Venezia (quinta volta per lui) due anni dopo Spencer. Messe da parte le parentesi biografiche di Jackie e Diana, in attesa della Callas con Angelina Jolie (Maria), il regista cileno torna nel suo paese (dopo Ema, 2019) e si concede con El Conde un macabro divertissement, un'allegoria horror per tornare a posare il suo sguardo su Pinochet (già raccontato seppur non così frontalmente in Post Mortem e successivamente in No - I giorni dell'arcobaleno), generale che nel 1973 - l'11 settembre, per la precisione - mise in atto il colpo di stato per spodestare il presidente Salvador Allende e instaurare una dittatura durata quasi 20 anni.
"Il processo per trovare il modo migliore di rappresentare quest'uomo è stato lungo", racconta Larraín: "Pinochet non è mai stato rappresentato prima, al cinema o in televisione, e abbiamo capito che il modo giusto per farlo era quello della farsa, con la satira che si mischia alla leggenda del conte, del vampiro appunto. Se si vuole evitare la satira si andrebbe verso una sorta di empatia, che non sarebbe accettabile. L'attore protagonista, Jaime Vadell è stato importante per il processo creativo del film".
Il film è un horror con toni da black comedy che ipotizza un universo parallelo ispirato alla storia recente del Cile. Pinochet, simbolo mondiale del fascismo, è ancora vivo. Anzi, lo è da ben 250 anni: è un vampiro che vive nascosto in un palazzo in rovina nella gelida punta meridionale del paese, in Patagonia. La malvagità è il suo stesso sostentamento. Ma Pinochet - che nel prologo del film scopriamo essere nato in Francia agli albori della rivoluzione - decide di non bere più sangue e così rinuncia alla vita eterna. Non riesce più a sopportare che il mondo lo ricordi come un ladro. Nonostante la natura deludente e opportunistica della sua famiglia, una relazione inattesa lo incoraggia a vivere una nuova vita piena di passione controrivoluzionaria.
"In molti credono che il dittatore Pinochet non debba essere rappresentato, io credo invece che abbiamo il dovere di raccontarlo. Altre persone che hanno commesso certi crimini sono ancora libere e questo è molto triste. Per molte vittime non sappiamo dove siano finiti i corpi, che fine abbiano fatto: questa impunità e questa sorta di chiusura del Cile nei confronti di quanto accaduto allora è qualcosa che mi interessa molto", dice ancora il regista, che poi spiega: "Dal punto di vista artistico abbiamo optato per il bianco e nero perché pensavamo fosse un buon modo per restituire una prospettiva quasi fiabesca, teatrale, soprattutto per mantenere la giusta distanza. Il lavoro del direttore della fotografia (Edward Lachman, ndr) è stato fantastico: le immagini dovevano essere universali per creare una narrativa accessibile a tutti. E ringrazio anche Netflix per l'appoggio, è un supporto veramente importante per portare il cinema cileno in giro per il mondo".
El Conde, che dopo la première veneziana sarà disponibile su Netflix dal 15 settembre, è interpretato come detto da Jaime Vadell, non presente al Lido. Al suo fianco, nel ruolo della moglie di Pinochet, Lucia Hiriart, l'attrice Gloria Münchmeyer: "Quando Pablo mi ha proposto il ruolo ho pensato che non poteva che chiederlo a me, dato che sono l'unica cilena che assomiglia a quella donna", dice sorridendo l'attrice, che torna a Venezia 33 anni dopo la Coppa Volpi vinta per La luna en el espejo di Silvio Caiozzi. "Ci saranno due possibilità: le persone in Cile ameranno o odieranno il film, non ci saranno reazioni intermedie", dice ancora Münchmeyer, a proposito dell'accoglienza che potrà ricevere El Conde in patria.
Nel cast del film troviamo anche Alfredo Castro, habitué nel cinema di Larraín (settimo film insieme), che interpreta Fyodor Krassnoff, fedele servitore del vampiro Pinochet: "Sono passati cinquant'anni dal Golpe in Cile e come sempre la genialità di Pablo ha consentito di trovare il modo di affrontare questo personaggio così sinistro come Pinochet, attraverso la farsa politica. La banalità del male è difficile da spiegare, diceva Hannah Arendt: qui siamo di fronte ad una figura che come fosse un vampiro diventa protagonista della storia del nostro paese. E il golpe del settembre '73 era stato provato il mese precedente, e doveva essere sanguinolento e veloce. Ho avuto l'onore di lavorare con Pablo in diversi film e il tema dell'impunità è sempre presente nella sua filmografia, il mio paese ha subito un'ingiustizia molto forte per lunghissimo tempo: Pablo analizza questo concetto in modo molto dettagliato, bellissimo. E secondo me è l'unico modo per affrontare questo argomento".
Paula Luchsinger veste invece i panni di una giovane suora esorcista che sotto mentite spoglie raggiunge la casa isolata del conte: "Questo è un film assolutamente necessario, anche a 50 anni di distanza dal golpe militare. Durante la dittatura di Pinochet sono stati violati i diritti umani, per molti anni. In questo momento l'estrema destra sta prendendo forza e questo film aiuta a ricordare gli orrori compiuti allora. Questo film è capace di avvertirci del nuovo pericolo che stiamo correndo. Spero possa stimolare il dialogo, il confronto, per far sì che tutto questo non si ripeta", dice l'attrice. Che sulla natura del suo ruolo aggiunge: "All'epoca una parte della Chiesa ha guadagnato potere grazie alla dittatura, mentre un'altra parte lottava al fianco delle vittime. Il mio personaggio è ambiguo proprio per questo motivo, viene sedotto dal buio, dall'oscurità e vuole diventare immortale".