PHOTO
Ku-Fu? Dalla Sicilia con furore di Nando Cicero
Parola d’ordine: parodia, commedia. È questo il legame che fino a oggi ha unito la nobile arte del Kung Fu al cinema italiano. La produzione non è stata abbondante, i titoli non sono molti. Mattatore è stato Franco Franchi, senza però la sua spalla Ciccio Ingrassia. Siamo nel 1973, Bruce Lee è appena morto e in Italia esce in sala Ku-Fu? Dalla Sicilia con furore di Nando Cicero. Il richiamo è volutamente a Dalla Cina con furore, la locandina ripropone quella di Il furore della Cina colpisce ancora, entrambi con Bruce Lee come protagonista. La trama si ispira a Cinque dita di violenza con Lo Lieh, la stella del cinema delle arti marziali che in Occidente ha preceduto di poco l’arrivo di Bruce Lee sullo schermo. I toni vanno ben oltre la parodia, lo scopo è quello di far ridere alla buona. Per questo forse non si trova alcuna aderenza alle tradizioni cinesi e alla nobile arte. Gli allenamenti attingono a diverse specialità (dal Kung Fu, al Judo, al Karate), i kimono sono invece di ispirazione giapponese.
Franco nel film è un novello Bruce Lee, ma senza talento. È un pusillanime, e alla fine preferisce affidarsi a una bella “capocciata romana” per sconfiggere gli avversari. Franco deve sposare la figlia del “Mandarino di Sicilia”, un cinese fuggito dal suo Paese a causa del contrabbando del riso tra Palermo e Pechino. Per farsi una posizione, si iscrive a un concorso di arti marziali: la posta in palio è l’arruolamento nel corpo dei Vigili Urbani di Roma. Non conosce il Kung Fu e il suo maestro Kon-Chi-Lay è più maldestro di lui. Intanto si innamora della bella Unci Vuncia. Al botteghino il film ha sfiorato i 900 milioni di lire di incasso, trainato dalla fama di Franco Franchi, e anche per il largo seguito di cui ha goduto il genere negli anni Settanta.
Devono trascorrere alcuni decenni prima che il Kung Fu torni centrale nelle produzioni italiane. I toni sono ancora quelli dell’ironia, o meglio dell’auto-ironia in Grosso guaio all’Esquilino. La leggenda del Kung Fu con Lillo Petrolo, per la regia del duo YouNuts!, formato da Niccolò Celaia e Antonio Usbergo. La cifra cambia, anche se i malintesi dominano gran parte della vicenda. Lillo è Martino, un attore squattrinato di b-movie che vive a Roma. In passato aveva interpretato il ruolo di un campione di Kung Fu. Davide è un ragazzino nerd innamorato di una coetanea contesa con Nadir, il bellimbusto della zona che non perde l’occasione per picchiarlo. Un giorno vede il film in cui Martino è protagonista, e si convince che possa insegnargli il Kung Fu per potersi difendere.


Grosso guaio all'Esquilino - credit Arianna Lanzuisi
L’umore è diverso da Ku-Fu? Dalla Sicilia con furore, ha un sapore, se vogliamo, agrodolce. Le vicissitudini di Franco, portate al limite dell’assurdo, erano scritte per destare ilarità a buon mercato, mentre il personaggio di Martino e l’intera vicenda raccontata in Grosso guaio all’Esquilino desta una certa malinconia. La leggenda del Kung Fu affronta temi che si ripropongono ancora oggi. Si parla di bullismo, di riscatto, di amicizia. Gli echi possono sembrare quelli di Per vincere domani - The Karate Kid del 1984, diretto da John G. Avildsen, che ha aperto le porte al fortunato franchise.
La verità è che il Kung Fu non ha avuto molta fortuna nel cinema italiano. Non è stato accolto come un elemento che potesse far nascere un seguito. Ci si accontentava dei maestri che venivano dall’Oriente, prediligendo magari il karate.
Da noi hanno avuto maggiore seguito altre discipline, da cui sono scaturite anche saghe inaspettate. Pensiamo a Il ragazzo dal kimono d’oro di Fabrizio De Angelis (che usava lo pseudonimo di Larry Ludman) con Kim Rossi Stuart: sei capitoli e una serie televisiva. Per il Kung Fu non esiste un’epopea di pari livello.


Xaxi Liu in La città proibita - Foto Andrea Pirrello
È per questo che quella di Gabriele Mainetti è una sfida curiosa. Con La città proibita – nelle sale dal 13 marzo – prova a dare linfa a un filone che non si è mai davvero diffuso dalle nostre parti. Sta nascendo, fuori tempo, una nuova alba?