Prima parte


Se il film ha un forte sostegno finanziario, si capisce, può anche uscire all’ultimo, ma uno o l’altro fattore - più soldi o più anticipo - è vitale che ci sia nella campagna Oscar.

Ovviamente, laddove il regista è famoso, ha già un percorso Oscar o conta su attori con questi requisiti ha una chance in più. Con l’ottimo Io Capitano, Matteo Garrone l’anno scorso è riuscito a entrare in cinquina senza attori famosi nel cast, ma potendo contare sulla propria riconoscibilità internazionale – peraltro, era al terzo tentativo, e con i primi due non aveva centrato la shortlist.

Terzo e ultimo fattore, è il potere. Al di là del distributore, che fa la differenza, concorre quanti votanti abbia il Paese e quanto compattamente votino: dicunt, il Brasile si è schierato con Walter Salles, ovvero Io sono ancora qui, in maniera esclusiva, senza dare alcuna preferenza ad altri titoli internazionali. Quando si uniscono i fattori è più facile andare in nomination: tanta economia e tanto potere convocante all’interno di Paesi con molti votanti. Diamo qualche numero: l’Italia ha circa 90 votanti, la Francia più di 200, il Regno Unito 900. Partire da 90 o da 900 fa la differenza – eppure a questo giro il candidato inglese, Santosh, non ce l’ha fatta. È però entrato in cinquina il danese The Girl with the Needle: a suo modo esemplare, il film in bianco e nero del regista svedese Magnus von Horn può contare su un bacino di voti importante, essendo co-prodotto da Danimarca, Svezia e Polonia, un distributore forte come il britannico Mubi, e dunque pure i potenziali voti UK.

Sebbene le recensioni, ovvero l’accoglienza, siano mixed, sebbene la visione venga ritenuta molesta o comunque poco uplifting, complice una certa estetizzazione se non spettacolarizzazione della violenza, The Girl with the Needle centra la cinquina, a scapito di Vermiglio. Perché, al netto dell’amor patrio, spiace per Vermiglio?

Ne loderemmo senz’altro l’austerità, il rigore, l’autorialità e l’indipendenza, sicché l’esclusione dalla cinquina non deve far buttare via il bambino con l’acqua sporca. Forte di un risultato lusinghiero al box office nazionale e di un’acclarata – è stato giubilato da The Girl with the Needle o, se preferite, Flow per la cinquina - competitività internazionale, Vermiglio è comunque fuori, e che lo sia da sesto o da quindicesimo poco importa, ma l’inclusione in shortlist non è traguardo da poco. Ricordiamo, dal 2006 – allorché è stata istituita - la shortlist di categoria è stata centrata dall’Italia solo cinque volte da quattro registi, ovvero Garrone, Sorrentino (2), Tornatore e Delpero.

Appoggiato dalla già giurata a Venezia Jane Campion, venerato sul Financial Times, Vermiglio con poco ha fatto tanto, e raggiunto molto, lasciando in dote un’avvertenza: se l’Italia vuole andare all’Oscar, si deve organizzare per tempo. Servono investimento e organizzazione, altrimenti è vuoto a perdere – e acqua al mulino di chi, essendo Vermiglio un gioiellino duro e puro, sostiene che l’Oscar si vinca solo con un potere endogamico che ripropone sé stesso.

Da ultimo, una questione di genere, che è annosa, pruriginosa, insidiosa e va continuamente pensata e ripensata. Trascuriamo qui il caso Emilia Pérez, cerchiamo di dribblare politically correct, woke e speculari, e… qualcuno ha notato che la cinquina del Best International Feature Film in questo 2025 è appannaggio di soli uomini – e così pure nel 2024, 2023 e 2022?

Infiliamo il dito nella piaga, dal 2000 sin qui su 125 slot disponibili nella categoria Best International Feature Film le registe ne hanno occupati appena 15 pari a un miserrimo 12%. Ricordiamole, queste eroine: Kaouther Ben Hania, Jasmila Žbanić, Nadine Labaki, Ildikó Enyedi, Maren Ade, Deniz Gamze Ergüven, Agnieszka Holland, Susanne Bier (2 volte), Claudia Llosa, Deepa Mehta, Cristina Comencini, Paula van der Oest, Caroline Link e Agnès Jaoui. Alla faccia della tanto propalata diversity – e i Golden Globes non aiutano, con Delpero l’unica altra regista italiana nominata è Lina Wertmüller nel 1977, allorché divenne anche la prima candidata all’Oscar per Pasqualino Settebellezze.

Tenere il discorso confinato dietro la macchina da presa sarebbe stolido, l’esiguità di registe candidate invoca una riflessione più profonda su come monopolisticamente si sia formato il nostro gusto cinematografico – e tout court. Scevro di testosterone, devoto ai particolari, incline alla contemplazione, Vermiglio dice poeticamente e stilisticamente di un femminile che consta di alternative e alterità al linguaggio dominante nei secoli. Chi l’ha recepito in seno all’Academy o, meglio, chi avrebbe potuto, se la percentuale di donne tra i votanti, dicunt, si attesta al 20 – 30%? @federico.pontiggia

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Questo articolo è stato originariamente pubblicato il 13 febbraio 2025 su Koyaanisqatsi, la newsletter di Federico Pontiggia per Cinematografo: iscrivetevi, è gratis