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Un'altra Italia era possibile. Il cinema di Giuseppe De Santis
"All’epoca il cinema italiano era in gran parte di sinistra, ma anche incline al compromesso. De Santis no, lui aveva una visione e dei valori non negoziabili. Non era disposto a trattare in un Paese che ha prodotto il compromesso storico”.
Steve Della Casa presenta a Venezia Classici Un’altra Italia era possibile. Il cinema di Beppe De Santis. Un documentario per riscoprire uno dei monumenti del nostro cinema che in carriera riuscì a dirigere, però, solo undici film. Coerenza etica, film ad alto contenuto ideologico, pressioni dei produttori ne segnarono dolorosamente la carriera.
Eppure, sottolinea l’attuale direttore del Torino Film Festival, “era uno dei grandi nomi del cinema italiano. Ha descritto il mondo, le speranze, le aspirazioni dell’Italia dopo la seconda guerra mondiale. Inoltre è uno dei pochi che ha saputo fare dei film internazionali. Io l’ho conosciuto ed era una persona molto simpatica. Mi fa molto piacere avere avuto la possibilità di raccontarlo e farlo raccontare dai suoi attori e dagli allievi. Tutti quelli che ho chiamato, hanno subito accettato di parlarne”.
Nel doc tu percorri le strade di Fondi perché De Santis non si può capire senza fare riferimento alle sue origini.
"Lui ha raccontato soprattutto storie agricole. Ha attraversato la società, la lotta contadina, la vita che si svolgeva in quelle zone. Ha saputo essere glocal, come si direbbe oggi, con storie molto personali che avessero, però, valore mondiale. Riso Amaro, nonostante non sia stato girato lì, oggi fa ancora il giro del mondo”
Perché oggi è un maestro?
“Ha forse più coerentemente di Rossellini messo il volto dell’attore al centro della costruzione del racconto. All’epoca era una novità importante. Ha fatto un lavoro sul concetto di primo piano, ed era l’idea di regia che maggiormente cercava di tramandare ai suoi allievi. Un regista che fosse al servizio e mai contro l’attore. Una concezione di cinema molto moderna.”
A proposito di modernità. Fu tra quelli che portarono un prototipo nuovo di femminilità in sala.
"De Santis non lavorava con le maggiorate, che erano una caratteristica del cinema del dopoguerra, perché preferiva una bellezza diversa. Ma anche caratterialmente, le sue donne spesso erano molto diverse da quelle dei suoi colleghi. Sapeva cogliere molto bene le loro aspirazioni”.
C’è un altro De Santis nel cinema di oggi?
“No perché bisognerebbe avere lotte sociali molto forti che in questo momento non ci sono. Poi per essere De Santis un regista ha bisogno di due cose: poggiare le sue radici in una tensione sociale che attraversi il Paese, e raggiungere una capacità notevole di padroneggiare le tecnica cinematografica di un cinema inteso anche come grande spettacolo, cosa che molti non hanno. Basti pensare che il Dolly D’oro, il premio assegnato a registi emergenti che meglio si cimentano in questo stile, è dedicato a lui”.
Se fosse vivo, che film girerebbe oggi?
"L’ultima cosa che ha cercato di fare era un film sulle delle donne protagoniste del terrorismo di sinistra. Voleva raccontare quelle che avevano un permesso per uscire. Erano persone che, pur sbagliando, avevano fatto una precisa scelta di vita. Oggi, però, farebbe un film sulle donne migranti".
Tu hai raccontato, tra gli altri, Sordi, Franca Rame, Flaiano, Mazzetti, Corbucci, Revees, Mitchell, Scott, ora De Santis. Il documentario cos’è per te? Una ricerca del tempo perduto?
“Io racconto le cose che mi hanno affascinato, mi hanno divertito, per cui ho perso la testa quando ero giovane. All’epoca ero un latinista di grandi prospettive, ma ho buttato tutto alle ortiche perché mi divertivo troppo nella sala cinematografica. A quelle persone, a quei momenti che ho vissuto al cinema devo molto. Cerco di ‘ringraziarli’ con il mio lavoro”.
Il prossimo ‘ringraziamento’?
“L’ho già finito, penso che lo vedrete presto: è un documentario su Dario Argento. Devo dire che ne sono sono molto contento: mi sembra sia riuscito abbastanza bene. È il frutto di una lunga e appassionata frequentazione che abbiamo costruito nel tempo. Posso dire che siamo anche abbastanza amici”.