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Beatrice Fiorentino
“L’atto della visione non è mai stato così politico” dice Beatrice Fiorentino, Delegata Generale della 38a Settimana Internazionale della Critica, la sezione autonoma e parallela organizzata dal Sindacato Nazionale Critici Cinematografici Italiani (SNCCI) nell’ambito della Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica della Biennale di Venezia, in programma dal 30 agosto all’8 settembre.
I lungometraggi in concorso sono About Last Year di Dunja Lavecchia, Beatrice Surano, Morena Terranova (Italia), Hoard di Luna Carmoon (Regno Unito), Life is not a Competition, but I’m Winning di Julia Fuhr Mann (Germania), Love is a Gun di Lee Hong-Chi (Hong Kong, Taiwan), Malqueridas di Tana Gilbert (Cile, Germania), Sky Peals di Moin Hussain (Regno Unito), The Vourdalak di Adrien Beau (Francia). In più, il film d’apertura God is a Woman di Andrés Peyrot (Francia, Svizzera, Panama), il film di chiusura Vermin di Sébastien Vaniček (Francia, Marocco) e la proiezione speciale in collaborazione con la Mostra d’Arte Cinematografica di Venezia e le Giornate degli Autori Passione critica di Simone Isola, Franco Montini, Patrizia Pistagnesi (Italia). L’obiettivo è sempre raccontare “il presente del mondo e il futuro del cinema”: “Il centro non è l’azione ma l’osservazione – spiega Fiorentino – perché osservare è un atto politico”.
Cosa dobbiamo aspettarci della selezione di quest’anno?
Un cinema stratificato, esteticamente audace ma in dialogo con il pubblico, che esce dall’idea dell’intrattenimento spensierato ma sa assumersi responsabilità nell’utilizzo del dispositivo. E sa prendere posizione su cosa significhi fare cinema oggi. Anche nei film di genere, che riescono a configurarsi come specchio della realtà.
Avete visto oltre cinquecento titoli: che cinema avete osservato, quest’anno?
C’è un aumento sensibile del documentario, che è sicuramente una forma più agile e accessibile. Ne abbiamo selezionati tre più uno ibrido, a metà tra fiction e doc. È sorprendente la maturità espressiva di questi autori che sanno uscire dalla formalità della storia intesa come fabula È forte la presenza femminile Ma non risponde a un’esigenza di quote. Da donna rivendico il fatto di non aver mai forzato la mano né richiesto favori: sapevamo che le cose sarebbero migliorate da sole. E così è stato. Le donne non devono essere favorite in quanto tali: dobbiamo fare in modo che ci siano le stesse possibilità per tutti e tutte.
Il film italiano in concorso, About Last Year di Dunja Lavecchia, Beatrice Surano e Morena Terranova, è completamente fuori dai radar, con tre registe (un primato?) e una produzione super indipendente.
Negli anni passati non è mai mancato il dialogo con l’industria, Mondocane e Margini erano film legati a produzioni “forti”. Quest’anno abbiamo voluto scommettere su un film totalmente indipendente: le registe non hanno padrini né madrine, si sono iscritte e sono entrate subito nella nostra shortlist. È chiaro che ci abbiamo pensato a lungo, ma è necessario prestare la massima attenzione a questo cinema completamente senza rete di protezioni. Anche perché sono tre giovani registe che osservano le vite di tre giovani, unite dalla passione per il mondo del ballroom, con affetto e sincerità, tra documentario e coming of age. E soprattutto, senza settarismi, penso che un certo discorso sui corpi femminili debba essere affrontato dalle donne: lo so, esistono moltissimi uomini che hanno la sensibilità e lo sguardo per affrontare queste situazioni, ma mi interessa che emerga una prospettiva femminile sul tema.
Nella selezione ci sono film provenienti dal Cile (Malqueridas di Tana Gilbert) e da Taiwan e Hong Kong (Love is a Gun di Lee Hong-Chi)…
Purtroppo persiste un problema legato alla pandemia: rispetto al passato, ci sono meno submission dal sudest asiatico e dai paesi africani. E anche l’indie americano sta conoscendo problemi. Stiamo riscontrando difficoltà nel coinvolgimento di continenti più distanti. Personalmente avverto l’urgenza e il desiderio di selezionare film che possano rappresentare il panorama globale. Ed è chiaro che se avessimo avuto più posti ci saremmo permessi il lusso di allargare lo sguardo, inserendo film provenienti da continenti lontani. Mi dispiace aver lasciato fuori dei titoli, la selezione ha una dimensione esaltante ma è anche molto dura perché ti costringe a fare delle rinunce. Certo è che con i film che abbiamo visto avremmo potuto costruire una sezione simile alle Quinzaine di Cannes. Ma la regola è inserire film che siano coerenti con l’indirizzo della sezione.
Qual è l’indirizzo?
Deve essere coerente, aperto, inclusivo. Il programma è sempre in movimento. Non abbiamo scelto film fondati su un “assoluto cinematografico”. Per esempio, Vermin, il film di chiusura fuori concorso, rappresenta una folgorante convergenza con il presente: un’invasione di ragni nelle banlieu, una metafora sul neocapitalismo distante dai cliché. Spero si capisca che la Settimana della Critica può offrire una proposta aperta e per tutti.
Cosa ci raccontano i successi degli anni passati, pensiamo solo all’anno scorso con Eismayer (da settembre in sala con il titolo Bersaglio d’amore) e Margini?
Sono film che sanno unire la proposta estetica con quella popolare. Nel nostro piccolo cerchiamo di fronteggiare la crisi del pubblico in sala: non dobbiamo limitarci all’Italia, i film della SIC sono stati accolti bene ovunque. Penso a Queens (il film di chiusura della SIC 2022, ndr), una sorta di Thelma & Louise in Marocco: non è da sottovalutare il fatto che una storia così femminista esca nelle sale locali, per noi è una vittoria. Al di là delle logiche distributive che non ci competono, seguiamo con affetto il viaggio dei film che selezioniamo. Ed è un bene che trovino un pubblico grazie ai festival piccoli, territoriali: i festival sono, ormai, dei veri e propri “circuiti distribuitivi” che permettono agli spettatori di vedere film altrimenti invisibili.
Evento speciale della SIC – fortemente voluto dal Sindacato Nazionale Critici Cinematografici (SNCCI), di sponda con il direttore della Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica Alberto Barbera e con il direttore generale della sezione autonoma e parallela delle Giornate degli Autori Giorgio Gosetti e la artistica Gaia Furrer – è il documentario Passione critica.
Nasce da un’idea di Cristiana Paternò (Presidente SNCCI), con l’obiettivo di raccontare la storia del sindacato fondato nel 1971. Più che una storia un po’ autoreferenziale della critica italiana, ne è venuta fuori una più aperta, inclusiva e contemporanea su come si è sviluppato negli anni il rapporto tra gli autori (nel doc ce ne sono molti, da Marco Bellocchio a Paolo Taviani) e i critici.
Non mancano i sette corti della SIC@SIC (Short Italian Cinema @ Settimana Internazionale della Critica).
Vale lo stesso discorso dei lungometraggi: uno sguardo che coglie il peso delle inquietudini del nostro presente, il dialogo tra individuo e spazio, la connessione circolare tra passato e presente, il peso delle immagini. E partiamo con Incontro di notte di Liliana Cavani (1960), la sua prima regia in assoluto, prima del saggio di diploma. C’è certamente l’occasione del Leone d’Oro alla carriera, assegnatole dalla Biennale, ma se abbiamo scelto di riproporre quel film breve è soprattutto per altri due motivi: ci fa capire quanto il cortometraggio non sia una “palestra” per giovani autori ma una forma espressiva con un proprio statuto ben preciso; e quanto il potenziale di un’artista possa rivelarsi sin da subito. Un auspicio per gli autori di domani, una dichiarazione d’intenti per definire l’indirizzo della SIC.