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Massimiliano Finazzer Flory - foto di Margherita Bagnara
Enzo, Niso e Peppino Fumagalli. Un cognome per tre fratelli. Lungimiranti, visionari, impavidi. Capitani coraggiosi di Candy, prima azienda italiana a produrre lavatrici, comuni oggi in quasi tutte le case italiane.
Siamo all’alba del dopoguerra, il prototipo sfornato dall’azienda brianzola si chiama Candy 50, elettrodomestico che permetterà ai tre fratelli in un pugno d’anni di prosperare e legare la loro parabola imprenditoriale al boom economico italiano.
Parte da qui il drammaturgo, attore e regista Massimiliano Finazzer Flory nel suo ultimo docufilm La storia di Peppino Fumagalli. La Candy, le imprese, la famiglia che sarà presentato sabato 2 settembre alle ore 15:00, nello Spazio Cinematografo (Hotel Excelsior, Sala Tropicana 1) durante l’80 Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia .
Finazzer Flory, perché Perché raccontare nell’epopea di Candy quella della famiglia Fumagalli?
Non solo perché è la prima ma per la rivoluzione dei consumi e costumi di un’epoca al centro della quale c’è l’emancipazione della donna. Una rivoluzione anche etica e non solo estetica perché dietro e soprattutto dentro la Candy c’è una storia tutta italiana, tutta famigliare. Detto così, oggi, fa impressione.
Ma il nostro secondo Novecento è denso di storie di ingegno familiare che intersecano, anzi sostanziano quella nazionale.
Il filone che io seguo è di “nati poveri” diventati ricchi senza rinunciare a raccontare origini semplici in una società complessa. Detta altrimenti: i capitani di impresa avevano coraggio, una rotta, scrutavano l’orizzonte a partire dai sensi e navigavano in un’economia reale. Erano non dei capitalisti, ma degli idealisti innovatori. Come i Fumagalli di cui Peppino è stato inoltre un ulteriore inventore: la comunicazione di impresa o se preferite il marketing.
Nel film si vedono pochi bulloni, viti o operai, ma molti figli e nipoti. Mi conceda lo slogan, è un documentario non "aziendale", ma famigliare. È d'accordo?
Sì, non c’è fiction, ma si sceglie una storia diretta per fare di una famiglia il luogo della scena, del ricordo e della rappresentazione; dove successi e sofferenze spesso sono lontane dalle immagini stereotipate della biografia industriale. Non a caso il 5 settembre al Teatro Manzoni a Monza, alla presentazione della versione integrale del docufilm, è invitata la comunità come parte integrante del lavoro.
Docufilm, soprattutto, che racconta come tre fratelli sono rimasti al timone dell’azienda fino alla fine, pur nella diversità di talenti e vedute.
Una via italiana alla globalizzazione c’è stata anche dal punto di vista dello stile e ho voluto offrire questa storia perché serva d’esempio alle nuove generazioni. Un made in Italy di idee ma anche di valori e non di meno di territorio. Qui la Brianza è ancora oggi ignorata come incredibile indotto centro creativo e culturale.
A proposito di nuove generazioni, perché una storia del genere dovrebbe parlare a loro?
Far diventare attori i figli Laura, Lella, Aldo, e Beppe e i nipoti, evocare il tempo senza cadere nella tentazione della nostalgia, in altri termini è narrazione che serve alla memoria e al mito di cui il cinema è ghiotto ma sempre alimentato da fuori, dall’esterno dal modello americano. Siamo cresciuti con una serie TV “Dallas” … ricorda? Ha forgiato e formato identità e gusti, aspettative e ammirazione nel bene e nel male, ma non è la nostra storia! Eppure, qui in Italia abbiamo famiglie e imprese che hanno fatto il mondo. Perché non farle rivivere con i sentimenti?
Quali sono, allora, le altre famiglie Fumagalli d’Italia?
Ce ne sono tante, ma la vera differenza è il tipo di “rivoluzione”: qui fu sui consumi diretti ma soprattutto sulla dimensione femminile offrendo con la tecnologia, con le lavatrici, un contesto politico e civile a favore di una liberazione del tempo verso il benessere. C’è dell’altro: il sottotitolo del docu è chiaro. Tra le imprese di Peppino c’è Puntaldia (albergo costruito dall’imprenditore in Sardegna, ndr) ma anche il suo impegno nell’ambito della solidarietà. Da qui forse muovono le motivazioni dei figli che hanno voluto quest’opera convinti che non c’è solo il family business ma anche la family heritage.
Perché omettere la cessione di Candy alla multinazionale cinese Haier?
Il racconto vuole ruotare non sui prodotti, su quell’internet delle cose che tuttavia in Fumagalli hanno anticipato, ma su come dei fratelli Peppino, Niso e Enzo con una certa idea dell’Italia e della famiglia fecero le italiane e noi tutti. L’epica delle multinazionali è un altro “film”.
In questo, come in altri suoi docufilm – penso ad Altri comizi d'amore dedicato a Pasolini - lei agisce in prima persona nel tessuto drammaturgico: si muove, cammina, va incontro agli intervistato. Che cos'è il documentario per Finazzer Flory?
Il documentario per me è un’inchiesta emotiva, un’indagine prima di tutto sulla nostra storia, su come siamo ma anche su cosa e chi abbiamo perduto. Un documentario per me è sempre “give back” restituire vita e verità a una biografia. Qui sembra che sia Peppino in realtà è l’Italia degli anni 60, uscita ferita dalla guerra, diventata ricca, senza nascondere il suo passato, ci ha donato una visione. Il docu è memoria e immaginazione.
L'impressione è, inoltre, che lei riversi nel documentario il senso stesso della creazione, cinematografica e teatrale: l'artista fa da raccordo a tante persone intorno a lui che dialogano, contribuiscono, arricchiscono la narrazione. Ognuna con la sua peculiarità. È così?
Sì. Io credo che il compito dell’artista sia essere maieutici e fare del proprio corpo una domanda verso gli altri. Sapere di non sapere, ma stimolare e suggestionare in nome della propria arte risposte, confessioni, segreti ma anche creative contraddizioni. L’artista che fa domande è credibile agli occhi degli spettatori perché libero da pregiudizi e alla ricerca della verità accompagnato dallo stupore. Da questo punto di vista la filigrana del docu su Peppino mette in luce ciò che in questo Paese è spesso in ombra: l’imprenditore come eroe della abnegazione.
Progetti futuri? Teatro, cinema? Tutti e due?
Al cinema nel 2024 ho un progetto su storie sportive e disabilità dove vorrei far vedere la bellezza della tecnica umana, della sua ossessiva ricerca del far bene, delle passioni che ti sfidano e ti chiedono di essere te stesso. A teatro proseguo con I Promessi Sposi di Alessandro Manzoni in tour in Europa e con un omaggio al filosofo Immanuel Kant.