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Vincent Cassel in The Shrouds di David Cronemberg
“Sono stato sposato per 43 anni. Mia moglie è morta nel 2017, da quel momento ho pensato che non sarei stato più in grado di fare film. Lei è sempre stata presente nella mia cinematografia. Ma dovevo in qualche maniera affrontare la questione del lutto, della morte, dell'amore. Ora posso dire che nessuna strategia serve a liberarsi della perdita. Compreso fare questo film. La sofferenza non se ne va”.
Glaciale, disilluso, luttuoso e sulla difensiva, dopo il concorso cannense nel 2024, David Cronenberg presenta alla stampa italiana The Shrouds – Segreti Sepolti che, dopo l’anteprima del 29 marzo al BAFF (Busto Arsizio Film Festival), sarà in sala con Europictures dal 3 aprile in più di 100 copie (l’Italia è il primo Paese al mondo a distribuire nei suoi cinema questo film).
Al centro della vicenda c’è Karsh (Vincent Cassel) imprenditore vedovo che realizza un cimitero tecnologico dove ciascuno può seguire su schermo la decomposizione dei propri cari. Ma presto le tombe vengono profanate, il sistema di controllo centrale hackherato, e il suo inventore finisce preda di un intrigo internazionale che sembra portare tra l’Islanda, la Russia, la Cina e l’Ungheria...
Ma Cronenberg allontana allusioni alla geopolitica attuale: “per il film lavorato con un produttore ungherese e ho molti amici islandesi. Sono solo culture distanti e diverse rispetto alla mia. Avrei potuto inserire anche altre. Semplicemente, era interessante per il personaggio ampliare la propria attività, trovare qualcosa di molto diverso oltre il proprio Paese dove espandere il business”.
Perché il film, certo, contempla “la questione religiosa, politica, mortuaria della vita” ma da una prospettiva privata e intimista: “anche il tema della cospirazione è un modo per affrontare il mistero dell’essere umano con il quale hai avuto un rapporto intimo per 43 anni. Quando la persona scompare, ti rendi conto che ci sono ancora esperienze, domande e scambi che avresti voluto avere con lei. E non li potrai fare più. Quindi la cospirazione del potere è anche un modo per elaborare il lutto”.
Non a caso la sceneggiatura, firmata dallo stesso regista, ibrida lo spunto personale con eventi reali e la fantasia creativa: “Ho iniziato a scrivere pensando a mia moglie, poi in un articolo ho letto che, tramite l’IA, sono stati creati degli avatar dei defunti capaci di replicarne perfettamente la voce. Se questo sia un modo di elaborare il lutto non lo so. Lo capisco, anche se io non lo applicherei né seguirei. Ma quando si comincia a scrivere, la sceneggiatura diventa finzione, la realtà sparisce. Perché i personaggi diventano vivi e ti dettano cosa vogliono fare”.
Il regista smentisce, ma poi è costretto ad ammettere che la traccia autobiografica, come spesso accade nei suoi film, permane: “Sono ateo come il mio protagonista Karsh. – spiega il Leone d’Oro alla Carriera – Se lo sei non credi nell'aldilà, né che ci sia un'anima separata dal corpo. Il corpo è l’unica realtà che abbiamo. Anche il mio penultimo film, Crimes of The Future, parlava di questo. I personaggi dei miei film non credono nella vita oltre la morte”.


Cronenberg si concentra sull’immanente e nonostante i pericoli della società del controllo, si dice affascinato dall’impatto che tecnologie come l’Intelligenza Artificiale possono avere sulla percezione della vita e dell’aldilà: “trovo interessante e possibile creare tramite una serie di computer e reti internet interconnesse tra diversi Paesi un aldilà artificiale dove avatar dei defunti possano conoscersi e trascorrere tempo insieme. Sarebbe una dimensione assolutamente falsa, ma è esattamente come il paradiso: una promessa falsa”.
É in fondo il sogno del personaggio incarnato da Vincent Cassel: “un voyeur di cadaveri che accetta la morte della moglie, ma vuole rimanere in contatto con lei tramite il corpo che continua a essere reale. Questo non è un falso rapporto, falso è il rapporto che propone la religione tra vivi e morti”.
Com’è prevedibile e assodato dalla sua filmografia, nessuna damnatio contro le innovazioni tecnologiche, dunque. Perché, spiega il cineasta: “Il corpo è tecnologia. La tecnologia è corpo. Negli anni Quaranta e Cinquanta c’era quest’idea fantascientifica secondo la quale la tecnologia ci sarebbe arrivata dagli alieni, ma la tecnologia è umana. Riflette ciò che noi siamo, è un’estensione della nostra voce, del nostro cervello, del nostro corpo. L’Intelligenza Artificiale ne è un esempio”.
Eppure Cronemberg respinge ogni legame tra il suo Karsh ed Elon Musk: “il protagonista non è un magnate di successo, né ha le sue ambizioni politiche. Ammetto che guidavo e guido una Tesla; ma oltre a ciò non trovo nessuna connessione tra il personaggio e l’imprenditore”.
In chiosa, una professione di umiltà pregna di understament: l’autore di Videodrome giura di non “essersi mai sentito un visionario, sono solo un osservatore della realtà, cerco di capire la condizione umana. Se alcuni film che ho creato possono sembrare visionari è un caso. Non ho mai mirato ad essere un profeta con le mie opere”.