Brendan Fraser, “Ho ragionato come se quel corpo fosse il mio”
A tu per tu con il protagonista di The Whale, dal 23 febbraio nelle sale italiane. “Il regista Darren Aronofsky mi disse che senza di me non avrebbe fatto il film”
“HO SEMPRE AVUTO LA FORTUNA di potermi concedere rischi o scelte diverse, imparare dai processi d’attore, essere assieme a grandi interpreti e giovani talenti”.
In una frase,
Brendan Fraser ha raccolto tutta la filosofia del suo lavoro e la gratitudine per essere tornato in sella, dopo alcuni anni di lontananza e ripensamento della propria vita, su un cavallo arrembante come
The Whale
, il film diretto da
Darren Aronofsky che dopo la Mostra del Cinema di Venezia arriva nelle sale da domani, 23 febbraio, forte della nomination agli Oscar per la migliore interpretazione maschile, per l’attrice non protagonista (Hong Chau) e per il miglior trucco e acconciatura.
Il film racconta di Charlie, un uomo gravemente obeso, con difficoltà di movimento, respirazione e tutta una serie di complicazioni che partono dal cuore, in senso medico e psicologico: Fraser per incarnarlo si è sottoposto a ripetute ore di make-up, costumi ed effetti visivi (“siamo partiti con sei ore di lavoro, per poi scendere con la pratica a due ore ogni giorno”) supportato da Adrien Morot e dalla sua squadra di tecnici che “lavorava come un team di Formula Uno attorno al mio ingombrante costume, per renderlo ogni giorno un po’ diverso dall’altro, a seconda delle esigenze di scena”.
E la metafora dell’automobile e delle sue componenti meccaniche torna in relazione al protagonista di
The Whale
e al lavoro di Fraser per entrare dentro quel corpo e quel pensiero: “Ci sono motori che vanno riparati, parti che vanno aggiustate e in questo caso meglio lavorare con intelligenza che con fatica, perché per entrare nel fisico di Charlie era importante imparare come camminare, come muoversi e come non muoversi, come alzarsi da soli. Mi muovevo coreografato come in un film d’azione per essere il più credibile possibile. Dopo un paio d’ore mi dimenticavo di avere quel corpo finto e ragionavo come se fosse il mio, persino il suono del mio petto e del mio respiro ho dovuto modificare, rendendolo ansimante come Muttley, il cane dei cartoni di Hanna e Barbera” (
La corsa più pazza del mondo,
nda).
La scelta di Fraser è stata una volontà precisa del regista Aronofsky: “Senza di te, il film non lo faccio”, gli ha detto, e quindi è partito il periodo di prove e lavoro preliminare sui personaggi e i luoghi dell’azione: “Ci siamo chiusi in casa a parlare del film e del personaggio, della sua compulsione per il cibo, la ricerca di redenzione, abbiamo letto il copione poi, quando mi ha detto di avermi dato la parte, Darren mi ha assegnato del lavoro di ricerca, documentari, programmi tv a cui toglievo l’audio per studiare i corpi e i movimenti di queste persone di quasi 200 chili. Un processo che è arrivato fino al lavoro con gli artisti del make-up e lì è cominciato un nuovo processo, circa tre settimane di prove sul set che sono il momento in cui abbiamo dato vita ai personaggi, recuperando le nostre esperienze teatrali, con il drammaturgo (Samuel D. Hunter, autore anche della sceneggiatura, nda), che ci dava consigli e note. Conoscevamo perfettamente le performance, il set così ristretto, pieno di oggetti tecnici e persone, sudore: ci muovevamo come dentro un microonde”.
The Whale
ha sollevato qualche discussione e polemica per lo sguardo sulle persone con obesità, criticato come involontariamente “grasso-fobico”: “Ovviamente, supporto in ogni modo l’inclusione di corpi non conformi e di scelte diverse nella rappresentazione dei media: spesso queste persone sono al centro di scherzi e discriminazioni e ci si dimentica della loro natura di esseri umani. È così che queste persone scoprono loro stesse, quando sono sole, al buio, in un angolo del loro appartamento, Charlie trova un po’ di luce grazie alla sua badante, agli assistenti, alla figlia e alle persone che gli stanno accanto. Lo sforzo che ho fatto è stato far dimenticare che fossi un attore che stava interpretando un ruolo. È triste che molte persone che hanno un problema come quello di Charlie, di sovralimentazione, non possano ricorrere alle procedure mediche o chirurgiche che potrebbero salvare loro la vita, per via di questioni economiche soprattutto o anche psicologiche, rapporto con gli affetti. È soprattutto questo che vuole raccontare
The Whale
”.