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Emma Stone in Povere creature!. Foto di Yorgos Lanthimos. Courtesy of Searchlight Pictures. © 2023 20th Century Studios All Rights Reserved.
Fino a pochi anni fa era “una curiosità greca”, poi sbarca a Venezia con La favorita e finisce sotto i proiettori degli Oscar. Il formidabile passo avanti di Yorgos Lanthimos avrebbe potuto raccontare la storia di un uomo ambizioso e invece il film della consacrazione è un invito a ridere ferocemente dei giochi di potere. Perché ne La favorita, dieci nomination agli Oscar, le cortigiane al servizio della regina Anna di Gran Bretagna (1665-1714) corrono il rischio di ritrovarsi in ogni momento col culo per terra, nel fango o peggio dentro un bordello. Lanthimos non è autore da paccata bonaria sulle spalle della società contemporanea, di cui rivela sempre gli aspetti peggiori. Ipocrisia e menzogna, crimine e settarismo, fa esplodere ogni cosa gli capiti a tiro, brilla la forma come il contenuto. Ingenuo chi ha pensato che un film storico avrebbe corretto il carattere nichilista. Affatto intimidito, il regista espugna il genere a colpi di crudeltà e irriverenza, provando un maligno piacere a provocare le figure che abitualmente lo animano e trovando nei fasti di un reame nuovo materiale per la sua impertinenza.
Placido, dimesso, quasi banale, diversamente dal suo cinema, Lanthimos sembra un esperto nell’arte di passare inosservato. Si avverte che preferirebbe rimanere in silenzio e quieto nel suo angolo. Quando il festival di Cannes gli assegna nel 2009 il premio Un Certain Regard per Canino, il regista rimane scioccato dalla lunga sessione di domande nel corso della conferenza stampa, in cui gli autori sono chiamati a spiegare e commentare le loro immagini. Come se non parlassero da sole. Eppure, se ci sono film che sollevano questioni e spalancano misteri che vorremmo tanto chiarire, sono proprio i suoi. Come riassumere la storia del suo primo film Kinetta, che nessuno ha osato distribuire in sala? Una sorta di parabola della società greca dove i personaggi sembrano mettere in scena i crimini di un serial killer in una desolata località balneare.
Con Dogthoot (2005), il mistero si infittisce e si fa più avvincente: in una villa isolata, una coppia tiene i figli adulti rinchiusi e al riparo dal mondo. A casa imparano una vita che non ha nessuna corrispondenza col reale. Ma l’immaginazione più curiosa è all’opera in Alps (2011), prima volta di Lanthimos al Lido. Il film affronta la brutalità implacabile del lutto, vince l’Osella d’oro per la miglior sceneggiatura e conferma il gusto per gli strani postulati, le situazioni artificiali o teoriche confrontate coi dettami della realtà.
Quattro anni dopo, The Lobster spinge più in là i confini dell’insolito traslocando in una società dove il celibato è proibito e i cuori solitari sono condannati a trasformarsi nel loro animale preferito (The Lobster, 2015). E un animale compare pure nel “titolo” successivo (Il sacrificio del cervo sacro, 2017), una favola crudele sulla natura umana che mette a dura prova una ricca coppia, oggetto di auscultazione clinica.
Da un interno chirurgicamente virtuoso si passa al castello dell’ultima erede degli Stuart (La favorita, 2019) e a un favoloso gioco di dominazione. Tre Grazie, fornite di potere, denti e artigli elettrizzano un film in costume dove gli uomini sono ridotti al rango di buffoni o alleati occasionali che si conformano ai movimenti del trio femminile. Qualcuno ha voluto scavare nell’infanzia del regista per spiegare tanta stranezza ma Yorgos Lanthimos resiste a qualsiasi definizione, soprattutto le più banali.
Nato ad Atene nel 1973 e cresciuto dalla madre, morta quando lui aveva solo 17 anni, ha avuto come tutti un’infanzia speciale e ordinaria insieme. Più affascinato da Spielberg che da Angelopoulos, vede il suo Paese come una terra vergine per il cinema e ci si lancia con una libertà assoluta. Affrancato da qualsivoglia diktat estetico, Lanthimos studia nell’unica scuola greca di cinema e inventa se stesso come il suo ultimo personaggio, probabilmente il più bello.
Si chiama Bella Baxter, una sorta di “creatura” ossimorica e sincretica uscita dalla fantasia di Mary Shelley e di Alasdair Gray, il suo libro, Povere creature!, fa direttamente eco a Frankenstein. Ma Bella è un mostro gotico (una fabbricazione chirurgica) e un’incarnazione (letteraria e cinematografica) che va oltre il campo clinico per approdare a quello politico e culturale. Nelle mani del dottor Lanthimos, Bella si fa creazione artistica, è allo stesso tempo il vecchio e il nuovo, la fine e l’inizio, l’uno e i molti. Giovane donna riportata in vita dopo il suicidio per annegamento, voleva sfuggire un marito violento, le hanno trapiantato il cervello della bambina che portava in grembo.
A salvarla è uno scienziato pazzo (Willem Dafoe) che la vedrà maturare, non crescere, perché il suo corpo è già quello di una donna adulta. Non è la prima volta che Lanthimos affascina gli spettatori ancora prima dell’uscita del suo film. Maestro nell’arte di mettere il pubblico a disagio, la sua fascinazione per le immagini destabilizzanti comincia dalle sue locandine. A immagine delle precedenti e ispirate promozioni, anche l’affiche, “le affiche” di Povere creature! lasciano un’impressione duratura, giocando col volto di Emma Stone in primissimo piano con rossetto sbavato e ombretto applicato come farebbe una bambina di nascosto dalla mamma.
Un’altra mostra il suo corpo minuto “alla testa” del suo corpo adulto ed elegantemente accomodato che diventa ricettacolo di vita nelle operazioni di trasmutazione alchemica: la morte fisica prelude alla rinascita e alla perfezione spirituale. L’illusione nel trailer è quella di una storia che riparte da zero, Bella non ha mai avuto un’infanzia, non conosce la paura, dunque può affrontare il mondo con la meraviglia e il candore di un “neo-nato”? O al contrario è una rediviva che crolla quando le ‘parti’ prese in prestito da altre storie prendono il controllo del suo destino? Lo scopriremo al Lido e nei grandi occhi turchesi di Emma Stone, al cuore di una rinascita spettacolare. È lei la diva e la scintilla di esistenza in un mondo inerte e normativo.