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Damiano e Fabio D'Innocenzo sul set di Dostoevskij
“Abbiamo lavorato con la vulnerabilità. Un sentimento che non è solo femminile, ma anche maschile. Ci siamo messi a nudo con Dostoevskij. Un racconto sugli incontri della vita. Incontri che servono a farci evolvere e a metterci in crisi. È necessario guardarsi attorno e che questo avvenga altrimenti la vita sarebbe solo monologhi che sono assolutamente poco interessanti”.
Così i fratelli D’Innocenzo tornano a parlare della loro serie Dostoevskij, in anteprima allo scorso festival di Berlino, passata per pochi giorni al cinema nelle sale italiane a luglio e ora in arrivo su Sky e NOW, dal 27 novembre, con tutti gli episodi disponibili da subito.
Protagonista assoluto Filippo Timi nei panni di un investigatore, un uomo dal passato torbido ossessionato da un killer seriale che uccide con una modalità costante, lasciando accanto al cadavere una lettera in cui descrive gli ultimi attimi della vittima. Nel cast anche Carlotta Gamba ovvero Ambra la figlia dell’investigatore, Gabriel Montesi, un giovane che ha da poco cominciato la carriera in polizia e Federico Vanni, il capo cinquantenne all’avamposto di polizia dov’è dislocata l’unità investigativa al lavoro sul caso Dostoevskij.
“La vulnerabilità richiede coraggio - commenta Filippo Timi-. Da piccolo, quando andavo da mia nonna, mia madre mi diceva di fingere di essere un altro perché ero troppo agitato. Mi sono sempre sentito sbagliato. Io vivo tutto il mondo come omologato e quando incontro qualcuno che sento che non è come il resto del mondo e che non mi giudica e capisco quello che mi dice, io lo sposo. E così ho fatto con Dostoevskij”.
E poi ancora: “Sul set non avevo ansie. Al massimo svenivo. È come essere stato diretto da due piramidi. C’è del geroglifico e del divinatorio in loro. Mi sono tuffato in questo progetto”.
E sul suo personaggio: “I greci sostengono che l’essere umano attraversa le emozioni ed è vero. È impossibile paragonarsi a questo personaggio: è come paragonarsi ad Amleto. Non puoi. Per presunzione e per spirito di protezione. Ma ho anche io una perdita, cambia il vestito. Il dolore è sempre quello ed è uguale per tutti. Ho messo in gioco alcuni tabù come il mio essere gay. Per tanti anni l’ho nascosto perché ero terrorizzato da mio papà così come da voi giornalisti. Provavo un senso di colpa per la cosa più bella che avevo: me stesso e ciò che desidero. Quel dolore è ovviamente sovrapponibile a un segreto”.
E sul rapporto tra il suo personaggio e la figlia Ambra: “Lei è come la rosa de La bella e la bestia. Devi proteggerla, ma non devi avvicinarla troppo altrimenti la distruggi perché la devi proteggere da te”.
I film dei fratelli D’Innocenzo da sempre indagano sul male dell’essere umano, raccontando spesso un mondo senza speranza: dal loro esordio La terra dell’abbastanza (2018), passando per l’opera seconda Favolacce (2020) fino ad America Latina (2021).
“Quando scrivo non punto la penna verso il mondo, ma verso me stesso - dice Damiano D’Innocenzo -. Quel malessere e quel malanimo sono inevitabilmente miei. Quelle asprezze, quello stagno, quel catrame, quel pozzo sono io. Io non pretendo di raccontare il mondo facendo una serie tv. Io cerco di correggere i miei sensi di colpa e di comprendere me e mio fratello. Parlo di quello che mi fa addormentare storto e che mi fa svegliare con una malinconia di fondo che viene da un passato lontano e da un presentimento futuro perché non penso che le cose cambieranno. Qui mi sono dedicato alle ferite che ho cercato non di guarire, ma di osservare”.
E sul futuro: “Non abbiamo la palla di vetro - dice Fabio D’Innocenzo -. Non facciamo mai nulla di progettuale. Confrontarsi con cinque ore di serie è stato molto complesso. Il cinema in un certo senso è un’arte agonistica. Non so cosa faremo, cerco di non pensarci. Ci sono tante cose che stiamo indagando con piacere e stupore. Ma siamo ancora sperduti e ci sentiamo degli outsider, nella misura in cui non saremo mai all’altezza di ciò che dovremmo essere. Ma questo è quello che siamo. Noi aboliamo le maschere perché mascherarsi è completamente inutile”.
Tra i possibili progetti: Petrolio di Pasolini, I poveri di Vollmann o I canti del caos di Moresco. “Tutti questi libri straordinari sono per noi dei riferimenti e delle bussole, a prescindere che poi diventino dei film diretti da noi- dice Damiano D’Innocenzo-. Ci piace molto scrivere. Ci riconcilia con quando eravamo bambini e scrivevamo i temi. Abbiamo anche ricevuto delle proposte da Hollywood. Ma prima di iniziare un progetto dobbiamo sentire uno scatto”.
Infine concludono: “Nel mondo attuale si comunica tanto. Ma spesso in modo poco profondo e autoreferenziale. Le lettere erano un modo per affrancarsi con la scrittura. Qualcosa di sincero e romantico. Le lettere scritte a mano rispecchiano il nostro modo di vedere la vita”.