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Anna Thaler, Roberta Rovelli e Maura Delpero sul set di Vermiglio
Il direttore della Mostra Alberto Barbera ha scomodato L’albero degli zoccoli, e Maura Delpero recepisce: “Un complimento enorme, un carico tremendo, se l’anima gentile Ermanno Olmi vuole incarnarsi in me per pochi minuti ne sono felice”. Dopo il pluripremiato Maternal (2019), la regista si volge - e senza deflettere dal femminile, e dal (pluri)materno - al padre, il proprio, rintracciando nel vissuto avito un piccolo mondo antico e le improntitudini dell'oggi. Il microcosmo non è mai micro, la famiglia è un coro: le musiche sono di Chopin, Schubert e Vivaldi, che provvede le quattro stagioni in cui la guerra, la Seconda, finisce, ma la pace non viene tra i Graziadei, prevalente gineceo guidato da padre-maestro Cesare (Tommaso Ragno) e tante donne, donnine e bambine, ognuna con carattere.
In Concorso a Venezia 81, e dal 19 settembre in sala, è Vermiglio, un paesino a ridosso del Passo del Tonale dove Lucia (Martina Scrinzi) aspetta da un milite; la madre Adele (Roberta Rovelli) ha da poco partorito il nono figlio; la sorella Ada (Racheel Potriche) si divide tra fede e pulsione; l'altra sorella Flavia (Anna Tahler) è brava a scuola e, decide il babbo, andrà al collegio; il fratello Dino (Patrick Gardner) non è proprio nelle grazie del magister familias, che addirittura lo boccia.
“Io non guardo fuori bensì dentro, mi metto in ascolto rispetto al mio inconscio, e Vermiglio è nato da un moto d’anima: la morte di mio padre e poi il sogno di lui, bimbo di sei anni, nella casa d’infanzia. Racconto la mia famiglia in un tempo che non ho conosciuto, dialogando tra intimità e spazio per l’immaginazione”, dice la regista, che nell’Alta Val di Sole, al confine tra Trentino e Lombardia, ha trovato “paesini resistenti al turismo e fatto il precasting in location, andando nei bar a bere birre e grappe e portando nel film gli avventori”.
Il lavoro sul diletto, la musica solo diegetica, e l’attenzione per l’infanzia: “I bambini sono una sorta di coro da tragedia greca, il commento nei letti, il sussurro li riconsegnano strappati all’infanzia in una società deprivata dalla guerra, ma ancora abitati dal fanciullino pascoliano”.
Delpero ha conflitto con “il pregiudizio che quel mondo fosse più di necessità che desideri, ma questi c'erano, solo avevano poco agio, ed è cinematograficamente molto interessante”. Se “in montagna ci si muove diversamente, in pianura si apre petto, in montagna ci si fa piccoli, è freddo, si cammina controvento, la natura è leopardiana”, la guerra ha avuto un trattamento peculiare: “Sta nel fuoricampo, vediamo gli anelli lasciati dal sasso nello stagno, ovvero le schegge, le mine, i bebè morti, la non formazione, il caos burocratico derivanti dal conflitto che tutto depriva”.
A incarnare il nonno di Maura, e qui il pater familias, è Tommaso Ragno, che la regista e sceneggiatrice assurge a “figura di riferimento del paese, senza atteggiamenti nostalgici: un uomo tutto d'un pezzo, un intellettuale che viene dal mondo contadino”. L’attore rivela un “lungo processo di lavoro, il senso del valore di gente che veniva dalla guerra” e rivendica al film una “forza nei comportamenti, più che nei dialoghi” e una “famiglia che è luogo archetipico”.
Da Maternal a questo, almeno nell’ispirazione, Paternal, Delpero rintraccia “salto di dimensioni e continuità, e una comune ricerca di linguaggio che mi interessa molto: l’economia dello sguardo, l’immagine sintetica, cerco di andare di poesia più che di prosa, verso la possibilità sincretica, il punto dove fermarmi”. Segnatamente, la cineasta ascrive a sé “la continuità in pluralità, la dimensione politica nel passaggio dal materno a paterno: la maternità è qui ancora complessa, del resto, quando scriviamo parliamo sempre della nostra infanzia”.