La situazione è grave e confusa o, se preferite, greve e contusa. Che il principale quotidiano italiano s’ostini, giacché l’articolo di ieri 15 settembre non è stato riveduto né corretto, a sostenere che C’è ancora domani di Paola Cortellesi non sia nel novero dei film tricolori autocandidati per la corsa agli Oscar in virtù di una data d’uscita non utile - 26 ottobre 2023 che pure è erroneamente indicato quale 26 ottobre 2024 forse in omaggio a Ritorno al futuro - a concorrere ha dell’incredibile.

Tenetevi: “La motivazione – scrive Federica Bandirali sul Corriere della Sera - non ha nulla a che fare con il valore del film, ma con una ragione «tecnica»”.

Spiace contraddirla, il periodo d’elezione, 1° novembre 2023 – 30 settembre 2024, non è invero dirimente: il blockbuster della Cortellesi non sta tra i diciannove titoli autoproposti giacché ci provò l’anno scorso (invero uscì la primo turno di votazione…), allorquando venne scelto Io capitano di Matteo Garrone, poi entrato nella cinquina del miglior film internazionale, già in lingua straniera, degli Academy Awards.

Se Tolstoj voleva che “ogni giornalista cinematografico infelice fosse infelice a modo suo", la collega del CdS ha debitamente mandato a memoria, oppure ha sbagliato titolo: il film che s’è fatta è C’è ancora ieri.

PS: Smaltita la sbornia sul tax credit, il cinema italiano dovrebbe interrogarsi su come abbia potuto produrre in un anno appena due (2) titoli buoni per gli Oscars, segnatamente Parthenope di Paolo Sorrentino e Vermiglio di Maura Delpero. Senza fretta, eh, che c’è ancora domani. Pardon, ieri.