C’è un momento, verso il finale di Geu jayeoni nege mworago hani (What Does that Nature Say to You), in cui marito e moglie, dopo una cena rivelatasi sorprendente, galleggiano tra la lucidità e l’ebrezza, lui strimpellando la chitarra e lei sboccando con la sigaretta elettronica. Si dicono delle cose, che non si anticipano ovviamente, ma più di tutto lei sputa una sentenza con la leggerezza di chi ha sempre il quadro della faccenda chiaro: “Come poeta è mediocre”. E poi: “Speriamo non le faccia male”.

Parlano del compagno della figlia, un aspirante poeta che ha rinunciato agli agi della famiglia benestante (il padre è un avvocato di grido) per cavarsela da solo. In quelle frasi c’è una sprezzatura che è un po’ la chiave per capire la famiglia di lei e, di riflesso, il disorientamento di lui. Anzi: lo spaesamento, perché è proprio qualcosa che ha a che fare con gli spazi, con la vertigine data dalle grandi estensioni di una casa in cui, probabilmente, sarà sempre estraneo.

Tutto What Does that Nature Say to You (in Concorso a Berlino 75) è filmato con una risoluzione volutamente bassa, che ottiene una messa a fuoco incerta che l’obiettivo di testimoniare lo straniamento del protagonista sempre messo alla prova. Innanzitutto per la mancanza degli occhiali – il che è un asse tra l’osservatore e l’osservato, che fa slittare questo film “statico” verso qualcosa di meno prevedibile – ma anche per i bicchieri riempiti via via dal padre della ragazza e il buio che avvolge fino a risucchiarti in dirupi.

What Does that Nature Say to You
What Does that Nature Say to You

What Does that Nature Say to You

Fedele alla linea dunque a se stesso, Hong Sangsoo (per l’ottava volta in corsa per l’Orso d’Oro: finora ne ha vinti quattro d’Argento) fa una scelta di campo netta e coerente (che i pigri e i puristi possono respingere serenamente), montando macrosequenze piene di dialoghi che determinano il ritmo di questa commedia incessante e perfino rocambolesca, dove quelle che possono sembrare sbavature (gli zoom un po’ rozzi) sono solo piccole beffe.

Lo schema sembra piombare da una screwball classica, dallo spaccato elitario (una società del privilegio in cui l’eventuale matrimonio va valutato e soppesato) ai personaggi sottilmente eccentrici fissati con certi tarli (l’automobile troppo vecchia, i baffetti), ma il metodo rohmeriano di Hong mette in scena la parola, delega il movimento a ciò che innescano quelle parole e monta la tensione fino alla declamazione della poesia che dovrebbe definire il futuro del protagonista.

E, come tutte le vere commedie, What Does that Nature Say to You è un apologo amarissimo sull’inadeguatezza dell’artista (o aspirante tale), sui meccanismi clannici della borghesia, sulla reticenza della divergenza (la sorella forse depressa che tende a restare chiusa in camera), sull’importanza di vedere cosa c’è oltre le immagini.