PHOTO
Bacalauret di Cristian Mungiu
Romeo è un medico di quasi cinquant'anni che vive in una piccola città della Transilvania. Disilluso da un matrimonio che è un fallimento e da un paese ridotto a brandelli, l'uomo ripone tutte le speranze in sua figlia Eliza (Maria-Victoria Dragus), diciottenne, che a breve prenderà il diploma e che andrà a continuare gli studi in Inghilterra. Il giorno prima dell'esame, però, la ragazza viene aggredita sulla via per la scuola e Romeo inizia a mettere in discussione tutti i principi in cui ha sempre creduto.
Altra presenza fissa del Festival di Cannes, Cristian Mungiu – già vincitore della Palma d’Oro nel 2007 con 4 mesi, 3 settimane, 2 giorni – di nuovo in concorso quest’anno, quattro anni dopo Oltre le colline (che vinse per la migliore sceneggiatura e per le due migliori attrici), si porta a casa il premio per la miglior regia (in ex-aequo con Assayas per Personal Shopper) e lo fa con un film di sicuro meno “potente” dei due sopracitati, ma non per questo meno importante.
Non a caso, il racconto si apre con una sassata che squarcia una finestra dell'abitazione della famiglia di Romeo (Adrian Titieni): un gesto inspiegabile, seguito nel corso del film da altri piccoli segnali (i tergicristalli dell'automobile alzati): è in qualche modo la voce della coscienza, dell'innocenza (?), come capiremo verso la fine in quel parco giochi, dove il figlio di Sandra, amante del protagonista, scaglia una pietra verso chi "non voleva rispettare le regole".
Debitore, soprattutto nella prima parte del film, di una certa cifra kieslowskiana per quello che riguarda lo sviluppo delle situazioni e dei caratteri (la centralità del caso, la presunta integrità del personaggio centrale, la disarmante apatia della madre di Eliza, i dubbi di quest'ultima su quello che, davvero, vorrebbe fosse la sua vita dopo il diploma), Mungiu si dimostra ancora una volta abile scrittore e formidabile cineasta. Artista capace di indagare nelle pieghe dell'umanità senza mai venir meno ai principi sacri di una messa in scena radicale e riconoscibile.
Dalla clandestinità di un diritto, passando per i dolorosi errori commessi in nome della fede, il regista romeno si sofferma stavolta sull'ipocrisia sistematica di chi, in nome del risultato, è pronto a rivedere qualsiasi convinzione. Non Eliza però, la cui decisione finale apre uno spiraglio di speranza affinché le cose possano cambiare davvero. Perché tra solidità morale e compromesso che apre alla corruzione, Mungiu non smette di anteporre il dubbio: andare via sarebbe di sicuro un bene per se stessi, di contro rimanere potrebbe esserlo un domani per le sorti di un intero paese.