Ci sono i reportage, le inchieste, i servizi giornalistici. Hanno il compito di verificare i fatti per informare il mondo e restituire quel che sta accadendo. E poi c’è il cinema, che per sua natura non può limitarsi a far da contenitore alle immagini o da notiziario illustrato. Parte da questa consapevolezza, Strichka chasu (Timestamp), unico documentario in Concorso a Berlino 75: come 20 Days in Mariupol, The Invasion, Porcelain War, Perché l’Ucraina?, c’è l’idea che una guerra molto raccontata – il che non è un giudizio di vado ma un dato – abbia bisogno di una prospettiva precisa e inedita per mettersi in dialogo con un pubblico assuefatto di immagini tragiche.

E Kateryna Gornostai lo fa concentrandosi su quello che è di per sé un mondo a parte: le scuole, che durante il conflitto sono rimaste aperte nella speranza (leggi: illusione) che gli studenti di ogni ordine e grado potessero preservare un pezzo di normalità. Non ci sono interviste, non ci sono agguati, non c’è voce narrante: ci sono le lezioni, le voci dei bambini che imparano a leggere e scrivere, i riti di passaggio tra un anno e l’altro, gli edifici via via distrutti dai bombardamenti, le foto dei padri arruolati che campeggiano sugli scaffali come santini, il quotidiano minuto di silenzio che precede le attività per commemorare i caduti, le evacuazioni improvvise verso rifugi troppo stretti.

Timestamp
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(Oleksandr Roščyn)

C’è cura e c’è rispetto nell’approccio di Gornostai, che si conferma autrice attenta ai cammini di crescita adolescenziali (la sua opera prima di finzione, Stop-Zemlia, ha vinto l’Orso di Cristallo, il premio della sezione Generation 14+, a Berlino 2021): il suo è lo sguardo di un’osservatrice mai morbosa, che si mette accanto ai turbamenti e ai dolori di ragazzi che non solo devono convivere con il terrore delle bombe e la scomparsa dei propri cari, ma sono anche completamente coinvolti in un’educazione sentimentale e sociale che, bombe o non bombe, ha delle regole che prescindono le contingenze belliche.

Girato tra marzo 2023 e giugno 2024, quindi nel pieno di un conflitto che oggi continua nonostante le dichiarazioni dei leader, Timestamp è una testimonianza asciutta e struggente, la cronaca di come la guerra incida davvero sulle vite di chi è lontano dal fronte e subisce le perdite (anche la distruzione di una scuola è un lutto) e, al contempo, un omaggio a quegli insegnanti che tentano di mantenere un minimo di serenità mentre fuori il mondo brucia. Una corale del dolore che preferisce l’umanismo alla retorica, con la disperata convinzione che la speranza sia davvero l’ultima a morire.