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C’è del marcio in Danimarca, e pure in Svezia non se la passano bene. Almeno a giudicare dagli intrighi che dominano il campo dell’arte contemporanea.
Ruben Ostlund, già autore dell’apprezzato Forza maggiore, con The Square si è buttato a capofitto nel regno dominato da curatori mercanti e collezionisti per squadernare un apologo irritante sui meccanismi che regolano un’enclave oggettivamente chiusa.
Un universo di privilegiati che si spostano di mostra in mostra attratti più dal lavoro di marketing dei direttori che dalla vera grandezza delle opere.
Difficile provare empatia per il curatore del museo, e personaggio principe della vicenda, che dovrebbe dirigere il teatrino di corte ma non ne azzecca una. Ma con lui non se ne salva uno. L’artista chiamato a illuminare uno dei tanti eventi svela una natura di vanesio di prim’ordine; la giornalista si rivela più esperta di frustrazione affettiva che di correnti e movimenti; il performer maschera tendenze psicopatiche dietro il gioco della provocazione.
Sguardo lucido nel riprendere e penna intinta nel sarcasmo, ma occhio meno attento al montaggio che avrebbe avuto bisogno di qualche taglio in più, Ostlund denuncia un ambiente fintamente provocatorio pronto a esplodere davvero alla prima vera sfida.
La critica non si ferma è ovvio al mondo dell’arte, evidente specchio di una società sovraesposta dominata dall’immagine, dallo scandalo, dalla presenza in rete, da Twitter e Instagram. Una fotografia del mondo contemporaneo cruda e per nulla confortante.