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The Shrouds
Non si uccidono così anche i sudari? Per non dire dei maestri. A ottantuno anni suonati, David Cronenberg ci porta al cimitero, complice la bella trovata del suo protagonista, il Karsh di Vincent Cassel pettinato à la Cronenberg, che da vedovo inconsolabile si inventa la GraveTech, avveniristico e controverso espediente per monitorare i cari estinti nei loro sudari. Sì, avete capito bene: osservare la decomposizione del defunto, e ok che il mondo è strano, ma voi intuite una domanda per cotanta offerta? Appunto, ci vuole taaanta sospensione dell’incredulità.
Va be’, in Concorso a Cannes 77 due anni dopo il pallido Crimes of the Future, The Shrouds è pieno di spie scoperte di quel che è stato Cronenberg e forse non è più: dal cimitero (degli elefanti) alla profanazione dello stesso, che spingerà Karsh a indagare, al fianco – onirico – della ex moglie, della cognata (entrambe incarnate da Diane Kruger), di uno smanettone (Guy Pearce), di un’esotica bellezza (Sandrine Holt) e dell’intelligenza artificiale che ne assiste l’avatar.
Un po’ il gioco delle coppie e un tot il De profundis, il film si concede una spolverata di body-horror e molto divagare, aggrovigliando all’esile trama fantasticherie post-mortem e teorie cospirative, espansionismo cinese e hacker russi, copule in famiglia e, in scrittura, intelligenza artificiosa.
Fa tenerezza, ma anche rincrescimento, rilevare come si possa aderire a una cattiva idea, e non mollarla nemmeno di fronte all’inconfutabile verità, che non funziona. Cronenberg è paladino di sé stesso, e pure epigone: là dove ci fu un Cristo della Settima Arte, c’è il sudario – la battuta sulla Sindone è invero diegetica.
Il compreso Cassel ci prova fino alla fine a raggrumare un po’ di interesse, Kruger pure per altre vie, ma quel che è morto è morto, e – sarebbe meglio – riposi in pace.