Jacob Elordi si avvia ormai allo status di divo planetario. Non sorprende quindi che sia costruita attorno a lui la miniserie australiana in cinque episodi The Narrow Road to the Deep North , per la regia di Justin Kurzel e la sceneggiatura di Shaun Grant, presentata alla Berlinale nella sezione Special Gala in anteprima mondiale. È l’adattamento del romanzo di Richard Flanagan, in italiano La strada stretta verso il profondo Nord (edizioni Bompiani), forte nel Regno Unito del prestigioso Man Booker Prize nel 2014, che senza mezzi termini getta il ventisettenne Jacob nel fango, nel sangue e nella polvere. Questa almeno la premessa.

In realtà, alla prova dei fatti cioè dello schermo, non è proprio così: il racconto è un grande melodramma che si disloca tra passato e presente, col protagonista Dorrigo nel contemporaneo che è interpretato da Ciarán Hinds e dialoga implicitamente coi giorni del conflitto. Siamo nella Seconda guerra mondiale. Dorrigo Evans è un prigioniero dei giapponesi e viene costretto a lavorare sulla ferrovia tra Thailandia e Birmania. Piegato a condizioni di schiavitù sfruttamento estreme, Dorrigo ha un'unica consolazione possibile: il ricordo di Amy. Ha avuto una relazione con la giovane moglie dello zio, prima di essere risucchiato nel conflitto, e la sua figura riappare nella mente, viene evocata per resistere alla miseria del presente.

The Narrow Road to the Deep North - Season 1 © Curio
The Narrow Road to the Deep North - Season 1 © Curio
The Narrow Road to the Deep North - Season 1 (Ingvar Kenne/Curio/Sony Pictures)

Dall'incontro in libreria all'inizio della relazione, tormentata e passionale, scopriamo cosa è davvero successo sotto forma di memoria: il giovane uomo, nonostante il matrimonio con la sua donna, non riesce a liberarsi della figura di Odessa Young che lo insegue e lo sostiene a livello ideale, come chiodo fisso nel cervello. Un angelo di carne, perché Jacob si perde nel suo viso ma si unisce anche al suo corpo. Dal primo incontro in biblioteca, come fosse una trasposizione di Jane Austen, fino al graduale imporsi dell'intesa sessuale e sentimentale, la coppia segreta si dipana mentre il mondo va in fiamme.

La serie instaura così un doppio binario, a tratti anche triplo. Da una parte c’è la costruzione della cosiddetta Ferrovia della Morte, che costò la vita a centinaia di migliaia di prigionieri, per il progetto folle dell'impero giapponese di arrivare a invadere l'India; dall'altra la lotta quotidiana di Dorrigo, una “battaglia d'amore in sogno” per dirla alla Ruiz, che si aggrappa al ricordo per sopravvivere e insieme vive con gli altri prigionieri. E c’è, come detto, il presente che di fatto è un passato prossimo, l’Australia di fine anni Ottanta, in cui il maturo Dorrigo rievoca la vicenda e ne mostra le conseguenze sulla sua vita attuale. Al tempo di guerra, caduti in mano nipponica, i ragazzi alternano momenti quasi di tenerezza, come la recita di Romeo e Giulietta messo in parodia dagli schiavi al fronte, a parentesi di cruda violenza, in quanto costretti a lavorare, picchiarsi tra loro per diletto, puniti con esecuzioni sommarie. Lo sguardo sui giapponesi è ovviamente quello occidentale: sono tutti cattivi e spietati, carcerieri senza dubbi etici. La storia si sviluppa in modo fluido e avvolgente, professione e con un’ottima impaginazione ma anche senza guizzi, all’insegna di un'altalena cronologica che percorre tutta la vita dell'uomo, ufficiale medico, e gradualmente la svela. Solo alla fine ne avremo il quadro complessivo.

Justin Kurzel, @benkingphotographer
Justin Kurzel, @benkingphotographer

Da parte sua Justin Kurzel non è regista “corretto”, è uno che non si allinea allo spirito del tempo ma preferisce lo sporco: si ritrova qui la sua filmografia aspra e terrigna, basti pensare al killer di Nitram o all’ultimo e provocatorio The Order , un poliziesco puro con Jude Law alla deriva contro i neonazisti, passato sottotraccia in concorso di Venezia. Detto ciò, si sente però l’influenza del formato seriale e il peso della commissione: la porzione melò è più affettata e leziosa rispetto allo stile del cineasta, che evidentemente vuole sfruttare anche il volto chiaro di Jacob, tra brindisi e sfioramenti, non solo quello di guerra. Nella messinscena della prigionia, invece, Kurzel si impegna a sporcare Jacob Elordi, portandolo alla latitudine opposta del ruolo patinato ed “ellisiano” di Saltburn, il ragazzo cattivo del college, la bellezza del demonio, oppure dell’incarnazione teorica del giovane Richard Gere in Oh, Canada. D’altronde ogni attore che si rispetti deve lordarsi e passare attraverso la prova di guerra: The Narrow Road to the Deep North è quella di Elordi, ma solo in parte, perché a tratti resta benvestito e impeccabile. Funziona, paradossalmente, meglio in versione fangosa. Dopo questo passo strategico, se vuole il lato oscuro, serve un altro progetto che sporchi davvero la baby face e il corpo adonico. Forse il nuovo Frankenstein di Guillermo Del Toro.