PHOTO
Alessandro Borghi in The Hanging Sun. Credits: Matteo Gastel
Debutto del fotografo Francesco Carrozzini nel cinema di fiction, dopo il documentario Franca: Chaos and Creation dedicato alla mamma, la leggendaria Sozzani di Vogue, e vari videoclip di prima fascia (JAY-Z, Marilyn Manson, Lana Del Rey, Lenny Kravitz, Beyoncé), The Hanging Sun traduce in immagini il bestseller di Jo Nesbø, autore finora poco fortunato (Headhunters – Il cacciatore di teste, il fallimentare L’uomo delle nevi).
È la storia di John, un uomo in fuga: dal padre boss che ha tradito; dal fratello incaricato di ucciderlo; dalla vita criminale a cui è stato condannato da sempre. Scappando dai propri demoni, ne trova altri, in un villaggio dell’estremo nord, dove il sole non tramonta mai e una piccola comunità fa i conti con severissime regole religiose.
Qui trova Lea, una donna che vorrebbe anzi dovrebbe fuggire, dal fantasma del marito violento e dai soprusi fisici del cognato. Che sia John, angelo caduto in volo, l’uomo in grado di salvare lei e suo figlio? E che sia Lea, così ferita a morte, la persona con la quale condividere una nuova vita?
Coproduzione italo-britannica, The Hanging Sun è un film utile per capire lo stato del nostro audiovisivo con ambizioni e capitali internazionali. La sceneggiatura, firmata da Stefano Bises, punta di diamante della golden age seriale (da Gomorra a The New Pope fino a Esterno notte, con poche sortite cinematografiche), condensa in poco più di un’ora e mezza una storia con poco fiato e ridotta a poche funzioni, cercando nelle ellissi le vie per eludere i buchi di scrittura (specialmente nella seconda parte).
Jessuca Brown Findlay in The Hanging Sun. Credits: Matteo GastelAlla cupa fotografia di Nicolaj Bruel la delega alla costruzione di un immaginario asfissiante, in grado di dialogare con le tenebre del protagonista, così come alle musiche di Andrea Farri spetta la punteggiatura emotiva della tensione. Ma sono contributi che non fanno altro che replicare le marche tipiche di un format un po’ derivativo e senza nerbo, pensato soprattutto per un consumo domestico (per durata, immagini, suoni, investimento dello spettatore).
Lo stesso Carrozzini, che qua e là dimostra una certa cura visiva, si mette da parte, lasciando parlare quel che resta di una storia resa in maniera prevedibile e poco interessante sul piano dell’approfondimento psicologico. Per Alessandro Borghi (che recita in inglese) è l’ennesima prova divistica e un ulteriore tentativo di misurarsi con un genere diverso. Il coro attorno è professionale (Charles Dance, Peter Mullan, Jessica Brown Findlay) ma il film sembra un’occasione mancata. Chiusura di Venezia 79, per tre giorni in sala (dal 12 al 14 settembre), poi su Sky (è un Original, appunto).