Luca Marinelli torna a recitare col suo volto, riposto il trucco di M – Il figlio del secolo, nell’esordio al lungometraggio della moglie e attrice Alissa Jung, Paternal Leave, coproduzione italo-tedesca presentata alla Berlinale nella sezione Generation 14Plus, prossimamente nelle sale italiane. Un film archetipo, basato sul topos immortale del padre e figlia sconosciuti tra loro, che percorre e rimette in scena in modo tutto sommato classico, eppure con alcuni spunti di interesse.

La giovane Leo, quindici anni (Juli Grabenhenrich), è cresciuta in Germania solo con la mamma, senza aver mai conosciuto il papà. Al principio, senza troppe parole, apprendiamo che la ragazza ha scoperto l’identità dell’uomo e la sua posizione, trovate coi mezzi dell’oggi ossia nel web, così si è messa in viaggio: vuole cercare e incontrare il padre invisibile. Lo trova nella riviera romagnola, a Marina Romea in provincia di Ravenna, e il primo contatto è già sintomatico: la giovane gli arriva a casa col suo aspetto androgino e il nome “neutro” e parlano due lingue differenti, Paolo non conosce il tedesco e Leo prova con l’inglese; lo interpella ma non si capiscono, anche se sembra sapere molte cose di lui, chi è e dove è nato, con la sequenza che si chiude in un gesto quotidiano come andare in bagno. Una quotidianità che non è mai esistita, però, e va costruita adesso dall’inizio, o meglio bisogna verificare se sarà possibile; la differenza linguistica è un dato di fatto che diventa metafora della lontananza, dell’incomunicabilità, cioè del divario profondo tra due che non parlano nemmeno la stessa lingua.

Ma cosa è successo? Paolo ha composto una famiglia italiana e soprattutto un’altra figlia, la piccola Emilia, con cui la “nuova” finirà inevitabilmente per specchiarsi, con tutte le conseguenze. Ma è proprio Emilia ad accogliere per prima l’ultima arrivata, che i bambini siano migliori dei grandi? Inoltre l’uomo, che si presumeva un surfista, passa il tempo in camper e gestisce un modesto bar sulla spiaggia che ora è chiuso perché fuori stagione (impossibile, come negativo etico, non pensare allo sfondo di Rimini di Ulrich Seidl). All’inizio Leo vuole risposte sul passato, parla molto e in modo fluviale, al contrario dell’uomo introverso; poi gradualmente inizia a voler partecipare alla vita del “neopadre”, tanto da mostrarsi gelosa per la preferenza accordata alla figlia italiana. Da parte sua, Paolo prova a rispedire Leo a Monaco… Il racconto si sviluppa come un ribaltamento del tradizionale coming of age: se nel congegno di genere è l’adolescente che deve maturare, qui invece l’adulto viene chiamato alla prova della crescita. Che, come sempre, è più complessa nell’età matura.

Così, tra incomprensioni e slanci, germoglia lentamente la nascita di un rapporto. Con tanto di figure di contorno, comprimari del piccolo centro ognuno col proprio significato, per tutti il ragazzo gay interpretato da Arturo Gabbriellini, già nella serie We Are Who We Are di Guadagnino, che serve qui a riaprire la questione di genere e la sessualità dei giovanissimi. Paternal Leave ha il pregio di non spiegare, non puntualizza ma si affida solo alla storia che viene colta in fieri mentre accade, lasciando opportunamente dei buchi (perché la mamma celava il nome del padre); dall’altra parte ricalca anche gli stereotipi del sotto-genere, affidandosi fin troppo all’apparizione ricorrente di certe figure, come la metafora dei fenicotteri che condividono la cura dei figli a metà tra maschio e femmina. Lì non c’è un papà che scompare… A ogni modo, si rivede volentieri il viso autentico di Marinelli, prestato a questo “candido” padre ignoto che si evolve con la conoscenza della figlia. Non solo l’imitazione e la parodia fanno parte di un percorso d’attore.