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Notte fantasma
Roma, sabato sera. Il tram non passa, il 17enne Tarek - italiano di seconda generazione, papà egiziano, mamma indonesiana - decide di raggiungere la casa di amici a piedi. Lungo il percorso si ferma - su commissione - per comprare del fumo. E poco dopo viene avvicinato dall'auto di un poliziotto in borghese, che lo obbliga a salire. Ha così inizio la loro Notte fantasma.
Classe '91, qui al terzo lungometraggio, Fulvio Risuleo porta a Venezia 79 in Orizzonti Extra questo noir esistenziale targato Wildside e Vision (anche distributore) e, tra gli altri, Sky: dopo Il colpo del cane il regista dirige ancora una volta Edoardo Pesce, affiancandolo all’esordiente Yothin Clavenzani.
Da una parte un uomo misterioso, anche minaccioso ma che sa alternare momenti di collera improvvisa a modi gentili e addirittura complici, dall’altra un ragazzo un po’ goffo e impacciato: invece di portarlo in commissariato, il poliziotto costringe Tarek a stare con lui tutta la notte. Tra risse, inseguimenti e fughe, tra i due finisce per instaurarsi un legame silenzioso, con i ruoli che all’alba potrebbero invertirsi.
Dalla durata fortunatamente contenuta (83’), Notte fantasma diviene in breve tempo un tour metropolitano intessuto di dialoghi sui massimi sistemi (dalla religione alla body positivity…), fortemente condizionato dall’ormai abituale (e studiato) format di film destinato poi comunque alla visione “domestica” (leggi: piattaforma), con Edoardo Pesce nella solita caratterizzazione di uomo dai trascorsi complessi e dagli sbalzi umorali incontrollabili, i ralenti calcolati al millimetro, le musiche d’atmosfera e un volto fresco – quello di Clavenzani – ancora forse troppo acerbo per convincere appieno.
Notte Fantasma - Edoardo Pesce e Yothin Clavenzani @Tommaso Cassinis
Si tenta troppo spesso la “giocata” ad effetto, la battuta scientifica, da infilare subito dopo il momento di tensione, finendo poi per assestare il colpo di coda della “sorpresa” finale per giustificare in qualche modo l’apparente incomprensibile “psicopatia” del poliziotto.
Già autore di qualche graphic novel e, sin da subito, dai primi corti, regista votato ad una grammatica dell’immagine ricercata, Risuleo ha indubbio talento dietro la macchina da presa.
Ma stavolta è tutto abbastanza telefonato, prevedibile, e nonostante questo parecchie situazioni non riescono quasi mai a farsi verosimili, a svincolarsi da quel coté alla “famolo fico” che non può che confluire in quell’alba a bordo Tevere con vista Isola Tiberina: “Vedi, io so’ nato qui”.