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Michel Franco lo conosciamo. Gliene frega poco – avrei voluto dirlo altrimenti – di convenzioni, illazioni e, ehm, edificazioni: egli distrugge, nella forma e nella sostanza, irritando alla bisogna, pervertendo di necessità, scomodando, sempre.
Dopo l’insurrezionale e surrettizio Nuevo orden (Gran Premio, 2020) e il nichilista, bellissimo Sundown (2021), il messicano Michel Franco torna in Concorso a Venezia, edizione 80., con Memory, che per un film sulla demenza senile è ovvia antifrasi.
Stavolta, invero senza soluzione di continuità, si fa psicosociale, contempla un bell’uomo incipientemente demente e una bella donna abusata ed ex alcolista: nondimeno, per la temperie del Nostro, è quasi una commedia.
Elevata a potenza da due ottimi attori, più lui di lei: Peter Sarsgaard è Saul Shapiro, da non confondere con Shel; Jessica Chastain è Sylvia, assistente sociale, una figlia, le riunioni degli Alcolisti Anonimi e un passato che tragicamente non passa.
Franco, anche sceneggiatore d’abitudine, è a differenza di tanti colleghi senziente, ovvero verbalmente capace e, di più, acuto: “Volevo girare un film sulle persone che si perdono nelle maglie della società. La loro incapacità, o riluttanza, a conformarsi alle aspettative è spesso radicata in fatti che esistono soltanto nei loro ricordi. A volte però è la marginalizzazione stessa a offrire una via di fuga dalle ombre del passato, una possibilità di costruire una vita nel presente”.
Ha detto tutto lui, ed effettivamente Memory tiene memoria di come si scrive un film, si dirigono gli attori, si implementa un’idea non misantropa ma nemmeno buonista della società, ovvero del vivere e, più spesso, sopravvivere a sé stessi e agli altri. La via di fuga è illuminata, però percorribile? Pedofilia, connivenza, ignavia, la famiglia è il solito teatro di guerra, e richiama una scena madre che avremmo preferito senza prole. Franco, altrove e per lo più, tiene fede al proprio cognome: scommette sullo smemorato di New York e l’abusata concittadina, cincischia con la di lei pargola, ma fa professione di fede nel domani.
Memory è un film medio, con un regista più che medio, e idem gli interpreti: rimane qualcosa. E parimenti sovviene.