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Capitolo trascurato della poco edificante vicenda del razzismo americano, la storia dell'unione mista tra Richard e Mildred Loving considerata un crimine nella Virginia del '58, era stata ripescata nemmeno cinque anni fa dal documentario The Loving Story, cui Jeff Nichols si è rifatto con una cifra meno battagliera e più sentimentale.
Affidandosi a due volti poco stellari come quello dell'eterno comprimario Joel Edgerton e della rivelazione Ruth Negga, il regista americano disegna con encomiabile misura le sommesse e tormentate scene da un matrimonio, che non s'ha da fare nell'America segregazionista di allora.
Tra la Storia grande e la piccola però, Nichols privilegia soprattutto la seconda, lasciando sullo sfondo figure e cliché del tipico dramma razziale per illuminare l'amore solido e perseverante di due persone quasi incredule, l'amore nonostante tutto.
L'intelligenza politica del film sta proprio qui, nella decisione di rivoltare la questione della pelle in quella del sentimento, più ampia e universale, e del diritto sacrosanto e naturale ad essere provato e vissuto. Non a caso la cifra forte di questo melò così emozionante e trattenuto è l'ambientazione rurale, dal doppio valore simbolico di Natura e di Frontiera (mentre lo spazio legale, culturale, della questione, è sempre uno spazio chiuso: una prigione, una città, la corte federale. A nessuno di questo i Loving, nomen omen, sembrano appartenere).
Dal punto di vista formale, Jeff Nichols continua invece ad assumere come punto di riferimento il passato, la memoria del cinema classico americano come custode della democrazia, letteralmente del potere di tutti di poter essere tutto. Un immaginario che è come una Storia al contrario, dove gli ultimi sono spesso gli attori principali, eroi ed eroine come Richard e Mildred, cui Edgerton e la Negga regalano una grandezza che se ne sta appartata, pudica e singolare, silenziosa e fiera. Una grandezza che si lascia abbracciare.