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L'ordine del tempo
Sono trascorsi ventuno anni dall’ultimo lungometraggio diretto da Liliana Cavani per il cinema (Il gioco di Ripley da Patricia Highsmith, interessante ritorno al thriller internazionale), che a sua volta arrivava a nove anni dal precedente (Dove siete? Io sono qui, storia d’amore nella comunità sorda). Tuttavia, negli ultimi due decenni, la più longeva tra le registe italiane non si è fermata, alternando televisione (miniserie didattiche, da De Gasperi a Einstein, ma anche Mai per amore contro la violenza sulle donne e il terzo Francesco della sua vita), documentario (Clarisse), teatro (la prosa con Filumena Marturano e Il piacere dell’onestà, la lirica con Alì Babà e i 40 ladroni).
Nell’anno in cui Cavani festeggia il novantesimo compleanno, la Mostra di Venezia la celebra con il Leone d’Oro alla carriera, presentando Fuori Concorso L’ordine del tempo, che segna il ritorno della regista sul grande schermo. Ritorno in grande stile, non solo perché convoca attorno a sé un ricco cast (Alessandro Gassmann, Claudia Gerini, Edoardo Leo, Kseniya Rappoport, Valentina Cervi, Francesca Inaudi, Richard Sammel, Fabrizio Rongione, Angeliqa Devi, Ángela Molina), ma anche per ciò che sta all’origine del film. Ovvero l’omonimo saggio del fisico Carlo Rovelli, che esamina la natura del tempo da più punti di vista all’interno dell’evoluzione del pensiero scientifico.
Con un’audacia a tratti perfino spericolata, Cavani, regista umanista che al grande spettacolo d’autore non ha mai fatto mancare una componente riflessiva se non proprio filosofica, raccoglie la sfida di tradurre in termini narrativi un testo complesso – e per molti versi poco accessibile – partendo da qualcosa che ha a che fare con la sua formazione letteraria: i diversi modi con cui i greci si riferivano al concetto di tempo (chronos: il tempo cronologico; aiòn: il tempo trascendentale; kairòs: il tempo indeterminato; eniautos: l’anno solare). È una chiave d’accesso – forse soprattutto per l’autrice – per prendere confidenza con l’idea cui il tempo non esiste, essendo una convenzione e una costruzione.
L’ordine del tempo inquadra queste teorie all’alba di una catastrofe imminente: un asteroide, detto “Anaconda” per le sue particolari dimensioni, sta per piombare sulla Terra. Un fisico che sta seguendo l’avvicinamento del “pietrone” decide di aggiornare i suoi più cari amici (tutti super borghesi, più la domestica peruviana: ci sono un medico, un’avvocata, uno psicanalista, una docente universitaria, un broker, un’altra fisica, una giornalista del Guardian…) riunitisi in una bella villa al mare per il cinquantesimo compleanno della padrona di casa. Da quel momento, il tempo che resta cambia radicalmente: se la fine è imminente, tanto vale dirsi tutto.
Qualcuno ha tirato in ballo Don’t Look Up, allegoria del riscaldamento globale con una cometa pronta a colpire la Terra nell’indifferenza di politica e media, ma L’ordine del tempo rifiuta sia lo sguardo satirico che quello apocalittico, preferendo all’annuncio del disaster movie una inconsueta commistione tra due registri. Da una parte, la dimensione meditativa e spirituale di Cavani, soprattutto nella didascalica prima parte e nei due momenti in cui appare la monaca clarissa interpretata da Molina (raramente nel cinema, italiano e non solo, si sentono riflessioni così complesse e sagge sul rapporto tra scienza e religione); dall’altra quella più intimista e salottiera, dovuta a Paolo Costella che con Cavani ha scritto la sceneggiatura, con i personaggi coinvolti in una sorta di nuovo Perfetti sconosciuti (segreti inconfessabili, rivelazioni improvvise, non-detti che esplodono).
È un cambio di tono importante, che fa virare il film dal dramma verboso e di matrice fortemente teatrale verso atmosfere con cui Cavani è forse meno confidente, ma che permette a L’ordine del tempo di instaurare un asse empatico col pubblico, dando maggiore consistenza emotiva alle teorie scientifiche. Con la sua dimensione “claustrofobica” vista mare, è anche un’allegoria della pandemia, in cui, alla fine, ricorda a tutti che nessuno si salva da solo. Granchio blu permettendo (ah, quando il cinema triangola con la realtà).