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L'avamposto
E se i Pink Floyd si riunissero per salvare l’Amazzonia?
Le schioppettate a distanza tra Roger Waters e David Gilmour si susseguono da decenni - è fatto noto - e non accennano a placarsi. Ma Chris Clark, diamante pazzo (Syd Barrett ci perdonerà), folle “eco-guerriero”, è convinto di poter siglare la pace tra i due Soli della celebre band britannica : "Hanno suonato a Pompei, a Venezia, perché non dovrebbero suonare qua?”
Scozzese d’origine, amazzonico d’adozione e per convinzione, ha fondato a Xixaù, nel ventre dell’Amazzonia, una comunità egualitaria di abitanti, nel rispetto della natura: l’Avamposto del progresso. Incendi, disboscamenti, omertà delle istituzioni e mire produttive, però, continuano a minacciarla.
Così la pazza idea: un concerto, uno solo, nel ventre più remoto della foresta, un evento epocale per costringere il presidente del Brasile (Bolsonaro prima, Lula poi) a rendere per decreto questi seicentomila ettari di foresta vergine una riserva naturale. Tradotto: niente più incendi dolosi, né disboscamenti, sfruttamenti. Solo una vita in armonia tra uomo e natura.
Gilmour si è mostrato subito sensibile alla questione, così Chris ha continuato a tartassarlo di videomessaggi che presto, però, cadono nel vuoto. Ma il visionario promotore non si arrende: allestisce navi-alberghi di lusso dove “dormiranno le rockstar”, setaccia il fiume in barca, di giorno e di notte tra gli incendi -un Apocalyse Now senza finctio cinematografica- , convince i locali. Il silenzio, però, continua. Si rivolge, allora, all’amico-nemico Waters. Altro buco nell’acqua. Ma se Maometto non va alla montagna…
Ch
ris , spolverino e sigaretta in bocca, si immette tra i fumi di Londra, stranito tra passanti selfie-dipendenti. Tampina personaggi influenti, amici e amici di amici che lo facciano arrampicare fino a Gilmour, e se non a Gilmour, a Waters. E se proprio non gli ex Floyd marcano visita, vanno bene anche Brian May o Phil Collins…E se proprio nessuna rockstar risponde presente, per il momento, al grido di dolore dell’inferno verde per “il concerto più improbabile e urgente di sempre”, nell’attesa va bene anche Edoardo Morabito e il suo doc on the road che approda, dopo tanto vagolare nel sud del mondo, alle Giornate degli Autori di Venezia 80.
Chris attore e personaggio, si spende e si confessa davanti alla cinepresa, usa il cinema come megafono per il suo grido dall’allarme oltre l’Atlantico.
Morabito, così, simpatetico e naturalista, emozionale e paesaggista – fotografia dello stesso regista con Irma Vecchio -, tra una cartolina fluviale e l’altra, compone, in disordine, radiografia del contesto, etnografia, denuncia ambientalista e biografia emotiva di un visionario che ha speso trent’anni della sua vita a difendere un’ambiente immacolato.
Da una parte lo sguardo aggettante (a tratti anche lirico) sull’Amazzonia, arcana e infinita, con i suoi alberi secolari, fiumi immensi e palafitte, dall’altra la ricerca di senso di un “civilizzato”, in pace con la natura lontano dalla “civiltà”. Lì, dove ha messo al mondo due figli e una comunità egualitaria che, dopo la prosperità iniziale, rischia di scomparire.
Ne esce un doc anfibio, riuscito nel suo pungolo di denuncia, che contamina gli stili, che rispetta e rompe i pilastri del suo genere; ambientalismo sì, ma anche metacinema, anzi metadocumentario: Morabito ci fa vedere sé stesso che fa e riflette su che doc fare, che si fa regista e personaggio (vocale). Che interagisce con Cris, persona e protagonista, che spera tramite il doc, anzi tramite il potere civile del cinema, di salvare l’Amazzonia riunendo i Floyd.
Documentazione, informazione, denuncia, sociologia, ma anche deformazione emotiva, soggettività, empatia. Non un doc sull’Amazzonia, non una denuncia ufficiale con cause e conseguenze del disastro, ma un ritratto ecologista perché intimista cucito addosso ai sogni di un fantasticatore che si rivolge alla musica per tenere in vita la sua utopia.
Shine on.