PHOTO
Mads Mikkelsen in Bastarden - Credits Henrik Ohsten @ Zentropa
Danimarca, XVIII secolo. Nelle asperità della brughiera dello Jutland da decenni si prova inutilmente a coltivare qualcosa. Quando, nel 1755, questo sogno sembrava ormai accantonato, la tesoreria reale accetta che il capitano Ludvig Kahlen (Mads Mikkelsen) si porti in quelle terre per perseguire questo obiettivo impossibile, costruire una colonia in nome del Re. In cambio, dovesse riuscire, riceverà un titolo nobiliare. Ma da quelle parti regna uno spietato figuro, Frederik de Schinkel: convinto che quella terra gli appartenga, farà di tutto per scoraggiare il capitano dal proposito.
Sei anni dopo il passaggio a vuoto di La torre nera, Nikolaj Arcel ritorna in patria per adattare il romanzo di Ida Jessen, Kaptajnen og Ann Barbara: Bastarden (The Promised Land) - acquistato per l'Italia da Movies Inspired - riporta il regista di Royal Affair a misurarsi con il period drama, stavolta con sorprendenti venature di western atipico.
In gara a Venezia 80, il film assume i contorni dell'epopea, intanto per l'ambientazione esaltata da campi lunghi che rimarcano l'ostilità di un territorio dove oltre a "erica, sassi e sabbia" e le sortite dei briganti non c'è nient'altro, ma soprattutto per l'ostinata tenacia di quest'uomo, il capitano Kahlen (un immenso Mads Mikkelsen, che il regista ritrova dopo il già citato Royal Affair, che nel 2012 vinse due premi alla Berlinale), che per 25 anni ha servito nell'esercito tedesco e ha raggiunto quel grado militare nonostante la sua umile estrazione sociale.
La battaglia impari che ingaggerà con de Schinkel (Simon Bennebjerg) - sadico e pervertito, non si fermerà davanti a nulla soprattutto dopo aver scoperto che la cameriera Ann Barbara (Amanda Collin) e il marito servitore sono fuggiti per rifugiarsi da Kahlen - diviene allora la battaglia di chi è nel giusto (quelle terre appartengono al Re) contro chi continua a farsi gioco della legge (e dell'umanità) abusando del proprio potere.
Ma il tema della sfida - in Bastarden - si estende ovviamente anche al confronto drammatico tra Kahlen e la natura: è questo forse l'aspetto più affascinante del film, che ci mette al cospetto di quest'uomo tutto d'un pezzo, taciturno, motivato dal raggiungimento di un obiettivo che per larghi tratti appare incomprensibile. E non a caso, lo stesso Arcel, ammette che questa sia la sua opera "più personale", concepita all'indomani dell'essere diventato padre: "Ho rivisto i miei film precedenti e ho capito che riflettevano la visione di un uomo con un unico scopo, la dedizione entusiasta della creazione di storie e di arte, ma non molto altro. Stavolta invece volevo confrontarmi con una storia epica e grandiosa su come le nostre ambizioni e i nostri desideri siano destinati a fallire se rappresentano la sola cosa che abbiamo. La vita è un caos: dolorosa e sgradevole, bella e straordinaria, e spesso non la possiamo controllare".
Alla fine l'illusione che il caos - lo stesso de Schinkel lo invoca in più di un'occasione - possa essere domato c'è, ma il percorso che avrà affrontato Kahlen (sopra a tutto l'aver accolto una piccola nomade fuggita dal clan dei briganti) non potrà lasciarlo indifferente quando, ormai solo, capirà che il terreno più bisognoso di essere coltivato era quello che ospitava la propria anima.