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La ragazza senza nome (2016)
Jenny (Adèle Haenel), giovane medico a Liegi, ha ricevuto pazienti tutto il giorno, è stanca. S’è fatta sera, il campanello dello studio suona: decide di non rispondere, nonostante il suo tirocinante Julien (Olivier Bonnard) sia di diverso avviso. L’indomani la polizia le chiede di poter visionare le riprese della camera di sicurezza dello studio: una donna è stata trovata morta nei pressi.
E’ La fille inconnue (“La ragazza sconosciuta”), scritto e diretto dai fratelli Jean-Pierre e Luc Dardenne, che ritornano in Concorso a Cannes dopo aver già vinto due Palme d’Oro con Rosetta (1999) e L’enfant (2005). Il loro cinema, oltre ad aver fatto scuola, ha già fatto la storia della settima arte: aderenza ai personaggi, temi sociali, forma senza fronzoli, secchezza narrativa, rivelazione dell’essere umano.
Insomma, i Dardenne si conoscono e si riconoscono bene, e La fille inconnue non aggiunge nulla, anzi, conferma un certo appannamento delle ultime prove, Due giorni, una notte (2014) e, soprattutto, Il ragazzo con la bicicletta, miglior script a Cannes nel 2008. Si chiaro, parliamo sempre di film discreti, se non buoni, ma l’impressione è che la misura sia colma, l’evoluzione quasi impossibile, al contrario, la coazione a ripetersi riveli qualche crepa. Rosa dai sensi di colpa per non aver aperto la porta alla moritura, Jenny fa di tutto per darle almeno un’identità e una degna sepoltura, e la sua indagine privata e testarda la porta ad affrontare migranti, trafficanti e ignavi: riuscirà a toglierle quell’attributo, sconosciuta?
Adèle Haenel, già decisamente apprezzata ne Les combattants (2014), incarna – vedi Rosetta, Lorna, eccetera – la peculiare protagonista dei Dardenne, ovvero l’ennesima eroina suo malgrado: lei si prende cura degli altri, i pazienti, ma la sua volontà di curare – “senza cedere all’emozione”, intima a Julien: istruzione d’uso spettatoriale risparmiabile - post mortem la sconosciuta non è supportata, crediamo, dalla necessaria empatia.
Insomma, lo spettro del giustizialismo fine a se stesso è sensibile e, conoscendo la poetica dei Dardenne, non può non essere considerato spurio: sbagliata la Henel nel ruolo o, ipotesi più probabile, la sceneggiatura e la costruzione del suo carattere non vanno nella giusta direzione? Se consideriamo inverosimiglianze ed eccessi, soprattutto d’iterazione, che non sveliamo per mantenere integra l’indagine di Jenny, il dubbio è forte: la critica dei Dardenne, ovvero che di una prostituta immigrata non frega niente a nessuno, nemmeno ai suoi, nell’Europa contemporanea, è abbastanza tagliata con l’accetta, con un sovradosaggio di esemplarità e paradigma, a scapito di una dolcezza, una pietas che meglio avrebbero sciolto l’assunto in immagini e suoni.
Nel cast anche gli attori feticcio Jérémie Renier, Olivier Gourmet e Fabrizio Rongione, un film che pecca di schematismo, un “messaggio” troppo forte e chiaro, una durezza, che non è radicalità, controproducente.