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Hokage di Shinya Tsukamoto
"Se muori poi non rimane nulla".
Dopo Nobi e Zan - entrambi in concorso a Venezia - Shinya Tsukamoto chiude la sua personalissima trilogia sulle tematiche di guerra con Hokage (Ombra di fuoco), che questa volta la Mostra ospita in Orizzonti.
Proprio come in Nobi - film ipertrofico che raccontava l'orrore del cannibalismo tra le truppe imperiali giapponesi durante la Seconda Guerra Mondiale - Tsukamoto torna a quel periodo storico, questa volta però siamo nell'immediato dopoguerra e l'azione si svolge intorno a un mercato nero che ricomincia a prendere vita dopo la devastazione della guerra.
Suddiviso in tre atti, Hokage ci rinchiude nelle quattro pareti fatiscenti di quello che un tempo era un ristorante: lì dentro, come una creatura abitata da un male che divora, giace una giovane donna (Shuri) costretta a vendere il proprio corpo per sopravvivere.
Quando un piccolo orfano di guerra e un soldato smobilitato si intrufolano lì dentro, la donna - che un tempo gestiva il ristorante e che ha perso marito e figlio durante il conflitto - sembra convincersi che una nuova vita potrebbe ricominciare. Ma gli incubi che devastano la mente del reduce finiranno per distruggere qualsiasi cosa.
Il “fuori” non esiste più per questa donna, sembra suggerire Tsukamoto in questa prima parte del film - sorta di horror da camera che pare "esaurirsi" quando il regista nipponico (come sempre anche autore dello script, della fotografia, del montaggio e, come sempre, con le musiche del sodale Chu Ishikawa, probabilmente di repertorio visto che il compositore è morto nel 2017...) inizia poco a poco a gettare lo sguardo verso l'esterno...
Da quel momento il regista segue il ragazzino (Oga Tsukao, dall'espressività commovente), che dietro alla promessa di un lavoro, accompagna in giro un venditore ambulante in realtà deciso a porre fine alle ferite che gli sono state inflitte durante la guerra.
"Se muori poi non rimane nulla".
Meno estremo rispetto ai suoi standard, ma non per questo meno efficace, Tsukamoto ci chiede di guardare alla devastazione, a quel poco che rimane di umano, con gli occhi di un bambino: si muove tra fuoco e ombre (lascia senza fiato quella visuale dall'alto sui resti di una città incenerita, così come sgomentano le sagome dei reduci ormai impazziti colte nel buio di quel sotterraneo) e si sofferma sulle persone che cercano di sopravvivere nascoste tra queste ombre.
Il futuro è possibile - ci ricorda con quella straordinaria sequenza finale dove perderemo di vista il ragazzino tra la folla del mercato - ma va inseguito dal lato giusto dell'esistenza.