PHOTO
Here © 2023 CTMG, Inc. All Rights Reserved. **ALL IMAGES ARE PROPERTY OF SONY PICTURES ENTERTAINMENT INC. FOR PROMOTIONAL USE ONLY. SALE, DUPLICATION OR TRANSFER OF THIS MATERIAL IS STRICTLY PROHIBITED.**
“Il tempo è volato”.
Un luogo comune, un unico luogo. Portare sul grande schermo la straordinaria graphic novel di Richard McGuire – opera innovativa e seminale – era un compito che probabilmente poteva spettare solamente a chi, come Robert Zemeckis, sul concetto di tempo ha saputo costruire una delle saghe cinematografiche più iconiche di tutti i tempi.
Il suo Ritorno al futuro non poteva che terminare qui, Here, appunto: perché, se è vero quanto scriveva Tennessee Williams in Lo zoo di vetro (“La più grande distanza tra due punti non è lo spazio, è il tempo”) è altrettanto vero che non serve spostare il nostro sguardo da nessun'altra parte per scorgere, immaginare e reinventare il flusso della storia, di una Storia e di innumerevoli altre, che scorre sotto i nostri occhi da prima ancora che potessimo aprirli.
Camera fissa su un angolo di mondo che nel corso dei millenni ospiterà il passaggio tumultuoso dei dinosauri e, in lontananza, del meteorite che li spazzò via per sempre, passando per ere glaciali e rinascite, uomini primitivi e poi nativi, promesse di amore eterno e epoche coloniali: tutto, dal 1900 in poi, "terminerà" con la costruzione di un salotto con finestrone che dà sulla storica dimora di William Franklyn, figlio illegittimo del ben più noto Benjamin. E sempre lì, anzi Qui, in quel salotto, si alterneranno saltando da un decennio all'altro e ritornando indietro le numerose e dissimili storie delle persone che lo abiteranno, che lo vivranno.
È un film che molti finiranno per ridicolizzare (negli States già lo hanno fatto, a dire il vero), Here di Robert Zemeckis, perché la superficie di questo incredibile fluire (caratterizzato proprio come nel fumetto d'origine dalla sovrapposizione di più "finestre" atte a intrecciare le varie dimensioni temporali nel medesimo luogo) è forse appesantita dall'apparato in CGI e dal procedimento con cui si vanno a ringiovanire attraverso l’intelligenza artificiale quelli che poi diventeranno i due personaggi centrali della questione, il Richard di Tom Hanks (che poi è altri non è se non la proiezione del Richard McGuire autore) e la Margaret di Robin Wright (sì, proprio i due protagonisti di Forrest Gump che si ritrovano esattamente 30 anni dopo, ancora una volta diretti da Zemeckis e con Eric Roth sceneggiatore).
Mantenendo dunque la struttura originaria del “fumetto” – uno sfondo spaziale fisso, la stanza, “dentro la quale” si alternano diverse finestre temporali parallele e collegate tra loro – Zemeckis ragiona per l’ennesima volta (si pensi anche a Benvenuti a Marwen e The Walk) sulle infinite possibili commistioni tra racconto e dispositivo (come McGuire, del resto, nel 1989, re-immaginava quell’angolo di casa, il suo vissuto, dei suoi genitori, di chi li aveva preceduti e di chi sarebbe arrivato dopo, attraverso il filtro visivo di una neonata interfaccia come Windows…) – e il meccanismo sa essere a tratti seducente, a tratti stoppaccioso: il “cuore” pulsante, emotivo della questione è la riflessione sullo scorrere del tempo e sulle insidie che lo stesso nasconde (la perdita della “memoria”, intesa tanto a livello personale quanto collettiva), inevitabilmente però a livello “narrativo” l’attenzione si focalizzerà sulla linea temporale relativa alla famiglia di Al (Paul Bettany), veterano della Seconda Guerra Mondiale, e della moglie Rose (Kelly Reilly), che prenderanno quella casa negli anni ’50, e successivamente del primogenito Richard e della sua giovane compagna, poi moglie, Margaret.
Nella loro “semplice” epopea – certo, l’unità di luogo la restituisce spesso sotto forma di sit-com – non sarà difficile rinvenire elementi di prossimità – incomprensioni, gioie, dolori – con le famiglie di tutti noi: il limite è che tutto quello che è accaduto prima (la moglie dell’aviatore, Michelle Dockery, o l’inventore della poltrona reclinabile) e quello che accadrà dopo (la famiglia di Nikki Amuka-Bird), colibrì onnipresente compreso, ci interesserà marginalmente.
Fino a quell’unico movimento di macchina, con Richard e Margaret ormai anziani e seduti nuovamente nel vuoto di quella stanza, che ci costringe a ricalibrare nuovamente – ribaltando la prospettiva iniziale – il nostro essere qui al cospetto dell’eternità.