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From Ground Zero
Considerate se questo è un uomo che a terra separa la farina dalla polvere (da sparo), che si ammassa in tendopoli pollaio, che elemosina acqua, che dorme in un sacco per cadaveri, che cerca il padre tra le macerie, una volta la sua casa (“Forse è ancora vivo”, “Ma è crollata due giorni fa!”).
Considerate se questo è un uomo che non può essere seppellito perché vi rimane, sotto quelle macerie. Considerate se questo è un regista, che prima girava per festival, ora rincorre i paracadutisti con gli aiuti alimentari, zigzagando tra i detriti, per sfamare i figli. O se questo è un corto, che non può essere finito perché il protagonista viene, nel frattempo, ucciso.
Considerate, poi, se questo è un insegnante, senza cibo per gli allievi, senz’acqua, senza elettricità, senza più missione sociale. E se questo è un alunno quando va a studiare sulla tomba del suo maestro. Considerate, ancora, se questa è una bambina, che si lava in un secchio di vernice. E se questa è un’adolescente quando dice: “Ogni volta che il sole tramonta, perdo qualcuno che amo”.
Considerate ventidue registi, il più giovane neanche trent’anni, che trovano miracolosamente il coraggio e le risorse per assemblare con mezzi di fortuna una testimonianza collettiva, dal valore storico, del massacro in corso nella striscia di Gaza dopo il fatidico 7 ottobre 2023, sotto la guida dal decano del cinema palestinese Rashid Masharawi, cresciuto nel campo profughi Shati.
Crudo, desolato, straziante, avvilente, intossicante, eroico, il doc in due atti From Ground Zero testimonia e indigna, documenta e sgomenta la vita sotto le bombe di milioni di civili rimasti (intrappolati) tra le macerie fumanti di Gaza. Tra cinéma vérité, reportage, fiction realista e animazione si compone un affresco composito e desolante di una quotidianità fatta di vite improvvisamente spezzate e devastate.
Ma non c’è J’Accuse verso il nemico, senso di rivalsa o spirito di vendetta nella cinepresa dei giovani cineasti. Su tutti i corti (o cortissimi) aleggia un’aria di dolorosa sospensione, di lutto fulminante, di straziante attesa, di urgenza testamentaria, perfino di speranza per una guerra che tarda a spegnersi. Non un film anti-ebraico, dunque, ma platealmente anti-bellico, ostinatamente umanista nel mostrare senza edulcorare né retoricizzare le devastazioni urbanistiche e psicologiche che causa il conflitto. Le vittime, come sempre, sono gli ultimi, i diseredati, i sommersi senza essere salvati: donne, bambini, adolescenti, promessi sposi, professionisti senza più lavoro, insegnanti senza cattedra, cineasti senza camera.
Un progetto tanto spericolato quanto prodigioso che, dopo la premiere al Toronto Film Festival, l’anteprima italiana a Taormina prima, a Torino poi, dal 1 dicembre sta girando un pugno di sale (Plaion Pictures in distribuzione) in modo indipendente, sognando l’Oscar. Complice anche l’endorsment accorato di Michael Moore (che si ritaglia il ruolo di produttore esecutivo) il film è entrato nella quindicina dei migliori film internazionali per rappresentare la Palestina.
Il sequel From Ground Zero + è già in cantiere con 4 cortometraggi narrativamente più impegnativi (di cui il primo è già in sala montaggio).
Nel frattempo in tanta desolazione, c’è anche chi dice no. “No a tutto quello che ci distrugge” canta una donna guardando in macchina.
Dal Punto Zero dell’umanità, alla sua rinascita.