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Jasmine Trinca è Fortunata. Di nome, non di fatto, fa la parrucchiera a domicilio nel torrido agosto di Torpignattara.
Vive con la figlia di 8 anni, subendo ancora i maltrattamenti dell'ex marito (Edoardo Pesce). E sogna di aprire un salone tutto suo, per emanciparsi, conquistare la sua indipendenza e il diritto alla felicità.
Sarà lo psicologo della ASL Patrizio (Stefano Accorsi), incaricato di valutare le condizioni della bambina per l'affidamento dopo il divorzio, a farla illudere della possibilità di una vita migliore.
La premiata ditta Mazzantini-Castellitto confeziona un Mamma Roma iperrealista e folle, fuori misura e bruciante, inquadrando dall'alto verso il basso (con tutte le elucubrazioni del caso...) la quotidianità di una povera crista.
Chiedono a Jasmine Trinca (che ritrovano dopo Nessuno si salva da solo), a ben vedere come accadde con Penelope Cruz per Non ti muovere, di snaturarsi, di farsi donna di borgata, vestita il minimo indispensabile e senza peli sulla lingua.
Generosa, come sempre, l'attrice finisce però per risultare paradossalmente posticcia, sopra le righe, fuori misura proprio come il film.
Film che finge di sporcarsi nei territori brulli e aridi della periferia romana, ma che non è mai capace di poggiare lo sguardo senza anteporlo al cuore dei personaggi, o della storia.
E' la fiera del sovraccarico, dell'urlato, del mai suggerito, con punte stracult come la sequenza in cui Accorsi insegue Fortunata sulle sponde del Tevere.
Ancora una volta, dunque, nel cinema di Castellitto non esiste alcuno spiraglio alla sottrazione, si inseguono piuttosto miraggi ferreriani anche attraverso i personaggi di contorno, come la svolazzante Hanna Schygulla, divorata dall'Alzheimer e dal mito di Antigone, ingestibile madre dell'amico di sempre di Fortunata, un Alessandro Borghi bipolare e strafatto, ormai schiavo nello stesso ruolo di sempre.
Ci mancavano solo Antony Hegarty e Vasco Rossi: ah no, ci sono anche loro. Vivere, è passato tanto tempo...