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En attendant la nuit
Inizia come tutte le storie vere, En attendant la nuit, primo film di finzione di Céline Rouzet, presentato in Orizzonti a Venezia 80: con un bambino che nasce e una mamma che lo abbraccia. Ma non è una storia come tutte le altre: quando del sangue comincia a scorrere sul corpo della donna, capiamo che in questa creatura c’è qualcosa che non va, che anziché bere il latte dal seno materno sta succhiando il sangue del primo corpo con cui è entrato in contatto. Volendo usare etichette classiche, Philemon – un nome che ha a che fare con i baci – è un vampiro. Ed è costretto a vivere in una società che non ha nulla a che fare con quella raccontata dai film che vede in televisione al cinema, che sia Dracula o La notte dei morti viventi.
Insieme alla sua famiglia, che fa di tutto per mantenere segreta l’anormalità del ragazzo ormai adolescente, Philemon è costretto a vagare per la Francia, cambiando casa di volta in volta per evitare che le abitudini diventino sospette (la madre è un’infermiera che ruba sangue declassato dunque inutilizzabile con cui nutrire il figlio). Quando arriva in un posto nascosto tra le montagne, abitato da una comunità legata da solida ipocrisia, il ragazzo – che non può prendere il sole per più di otto secondi e deve domare l’istinto predatorio – si avvicina alla vicina di casa, affascinata da quel nuovo amico così strano. Naturalmente le cose sono destinate a precipitare: i ragazzi del quartiere lo bullizzano, i vicini mal celano la diffidenza, l’incidente di una dirimpettaia rischia di svelare la verità.
Avvalendosi di una grana estetica che proietta la storia negli anni Novanta (la fotografia è di Maxence Lemonnier), ricorrendo a feticci come le videocassette e il walkman che trasmettono l’aria del tempo (complici anche le musiche elettroniche di Jean-Benoît Dunckel), Rouzet costruisce un racconto di de-formazione che sa mitigare l’alto tasso derivativo (Lasciami entrare, gli antieroi di Romero) con suggestioni più inattese (il rapporto tra diverso e comunità e la crisi finale hanno echi di Edward mani di forbice).
Rouzet sta accanto al suo protagonista (un tormentato, pallido, dilaniante Mathias Legoût-Hammond), rendendolo cardine di un teen drama che cova in potenza l’horror (ma l’osceno è sempre fuori campo e il sangue è quasi sempre in una sacca), lascia eruttare il lato romantico (senza eludere sottotesti vagamente sadomaso, con una bella scena in auto da fermi) e sublima il paesaggio francese in uno internazionale (un sobborgo uguale a mille altri nel mondo) per collocare il film in una dimensione quasi mitica che trascende le contingenze storiche. Con un titolo programmaticamente doloroso, En attendant la nuit sa montare la tensione fino a uno scioglimento finale ineluttabile e struggente.