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Ella Øverbye e Selome Emnetu in Dreams
Dopo Sex, presentato alla scorsa Berlinale, e Love, in corsa per il Leone d’Oro a Venezia 81, ecco Dreams (nel titolo internazionale si citano, tra parentesi, anche i precedenti capitoli), con cui Dag Johan Haugerud chiude la sua trilogia delle relazioni, in Concorso a Belrino 75. Universale, va da sé, perché il lessico trascende la lingua, ma anche riflesso della società norvegese, di come un popolo così quieto e apparentemente emancipato affronta le conseguenze, gli effetti, i contraccolpi dei sentimenti e di ciò che gira attorno.
Per una buona metà, Dreams (in originale Drømmer) è un diario illustrato, la voce di chi lo scrive è dominante, spiega e analizza passaggi narrativi e paesaggi interiori, si potrebbe rivelare invadente se non ingombrante laddove non si accetti la precisa intenzione dell’autore. Che è evidentemente quella di attestare alla protagonista, l’adolescente Johanne, la titolarità del racconto, creando così un ponte con quella sfera onirica convocata nel titolo e a cui in qualche modo dobbiamo avere accesso.
Il romanzo di formazione in prima persona esplode quando Johanne si prende una cotta per la sua insegnante, che guarda caso si chiama Johanna e sembra instaurare rapporti stretti e intimi con tutte le altre studentesse attraverso lezioni di maglia. Lo sappiamo: ogni storia di crescita è la storia di un amore impossibile, qui tale non fosse altro per il diverso status – e, chiaro, il differente esercizio del potere – tra le due donne, ma il cuore è nella scoperta del desiderio, ancorché ingestibile e problematico, e di quanto possa far male essere invisibili e inattraenti a prescindere dall’anagrafe e dal vissuto.
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Ane Dahl Torp, Ella Øverbye, Anne Marit Jacobsen in Dreams
(Motlys)Ma quando quella voce trova uno spazio e una trasfigurazione nella creatività terapeutica di un romanzo – che è un po’ il punto di svolta di ogni estensore di diari: trasformare il privato, svincolarlo dal personale e restituirlo agli altri così da poter diventare uno specchio – ecco che Dreams torna a essere una “commedia della chiacchiera” come Love, grazie ai magnifici e divertenti dialoghi tra la madre e la nonna della protagonista: in un serrato scambio generazionale che tira dentro la grande letteratura (le passeggiate delle sorelle Brontë) e riduce i maschi a comparse (il sogno pieno di uomini per scale quasi escheriane), le due donne accolgono la “sfida” della nipote, si mettono in discussione, danno corpo ai propri sogni, affrontano le contraddizioni della realtà.
Con la complicità decisiva delle interpreti (Ella Øverbye, Selome Emnetu, Ane Dahl Torp e Anne Marit Jacobsen), della fotografia di Cecilie Semec che nel nitore fa affiorare il calore e il montaggio di Jens Christian Fodstad a dare fluidità agli scarti tra fantasia e realtà, Haugerud si conferma un intellettuale che non si fa imprigionare dalla teoria, capace di offrire un’empatica e profonda riflessione sull’umano e lo spazio che abita.