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Coup de chance di Woody Allen
Un incontro fortuito, la riscoperta di emozioni sopite, l'inganno, il senso di colpa. Coincidenze da una parte, costruzione della propria fortuna dall'altra.
Woody Allen torna a Parigi e, per la prima volta in un suo film, si parla in francese. Che ci si ritrovi dentro un racconto del maestro newyorchese è chiaro sin dalla prima scena, su quel marciapiede illuminato dalle luci di Storaro dove Alain (Niels Schneider) riconosce nel viavai l'ex compagna di liceo Fanny (Lou de Laâge): lui, ora scrittore, da sempre segretamente innamorato di lei, che invece ora è affermata nel lavoro ma soprattutto "inquadrata" a livello sentimentale, sposata con l'altolocato Jean (Melvil Poupaud), uomo che per mestiere "rende i ricchi ancora più ricchi" e per diletto (e opportunità) frequenta i circoli dell'alta società esponendola ogni volta come "moglie trofeo".
Con una lucidità, un'eleganza e un incedere che non fanno provare nostalgia verso i suoi film migliori, Coup de chance - come ricorda lo stesso Allen - è una sorta di controcanto in commedia del ben più cupo Match Point: la riflessione sul senso della vita, sul peso delle coincidenze, sull'incidenza della sorte accompagna in maniera mai banale questa commedia romantica capace di dialogare con le dinamiche del giallo ma senza mai rimanerne succube.
Gran parte del merito va anche ascritto all'intero cast, dal quale svetta - maiuscola - la prova di Melvil Poupaud: il suo Jean incarna alla perfezione il prototipo dell'uomo affabile, premuroso, possessivo e deciso a tutto affinché la sua fortuna non esca dal binario prestabilito.
Si allude già ad inizio film - nel chiacchiericcio che sottolinea la tremenda ipocrisia di certi ambienti, frequentazioni e amicizie - ad una misteriosa sparizione, quella dell'ex socio di Jean, poi il focus del racconto si sposta sulla (ri)nascita di questa amicizia tra Fanny e Alain, sulla riscoperta di sensazioni che la giovane donna neanche immaginava di aver soffocato: tra gli altri, anche questo aspetto dà la misura della grazia in scrittura di Allen, capace di restituire il confronto tra la freschezza di un ipotetico, nuovo amore, e la gabbia dorata di un rapporto - quello con il marito - dove comunque Fanny è amata, considerata, ma dove sottotraccia è come se intuisse che qualcosa continui a mancare...
La vicenda procede con il solito, amabile ritmo, tra i dialoghi banali che scandiscono le serate dei ricchi, weekend nella meravigliosa casa di campagna dove si tengono battute di caccia al cervo, e pause pranzo che diventano sempre più lunghe per rifugiarsi nella sincerità di un amore bohémienne.
Dissimulare la crescita dei sospetti sarà impossibile, tra investigatori privati ("Non amo molto questo tipo di romanzi, dove i detective sono sempre glamour mentre nella realtà sono abbastanza insignificanti", dirà Jean a Camille, la mamma di Fanny, avida lettrice di gialli e Simenon, interpretata da Valérie Lemercier, personaggio che poco a poco diventerà sempre più centrale nella narrazione...) e assenze - fisiche, ma non solo - che non promettono nulla di buono.
All'inganno si risponde con l'inganno, l'importante è non lasciare tracce dietro di sé: Allen ribalta nuovamente il film, convince il personaggio di Jean di aver ripreso in mano le redini della sua fortuna.
Ma per quanto possiamo convincerci - e i soldi certo aiutano - che la buona sorte sia una compagna da sedurre e chiamare a noi con qualsiasi metodo, la fatalità, l'inaspettato, è sempre lì dietro l'angolo. O dietro le fronde di qualche albero.
Chapeau, monsieur Allen.