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Taylor Russell (left) as Maren and Timothée Chalamet (right) as Lee in BONES AND ALL, directed by Luca Guadagnino, a Metro Goldwyn Mayer Pictures film.
Credit: Yannis Drakoulidis / Metro Goldwyn Mayer Pictures
© 2022 Metro-Goldwyn-Mayer Pictures Inc. All Rights Reserved.
Bones and All, dal romanzo di Camille DeAngelis, è il nuovo film di Luca Guadagnino, in Concorso a Venezia 79. Interpretato da Taylor Russell e Timothée Chalamet, protagonisti, e Mark Rylance, sembra sintetizzare i due film precedenti del regista, Call Me by Your Name (2017) e Suspiria (2018): il sentimento dell'uno, l'horror dell'altro, seguendo on the road la liaison di due giovani cannibali, Maren (Russell) e Lee (Chalamet), nell’America di Ronald Reagan.
Il focus è sulla necessità e insieme impossibilità dell'amore, lo stare insieme senza annullarsi, ovvero il vampirizzare, meglio, fagocitare il partner (e sé stessi): una questione eterna e insieme contemporanea, dunque affidata a un beniamino à la page come Chalamet, già in Call Me by Your Name.
Guadagnino ha mestiere e talento, sa cadenzare tempi e dosare immagini, ma Bones and All non tiene letteralmente fede al titolo che s'è scelto: non c'è quel mangiare tutto, quel "pasto nudo" che dovrebbe - dice un balordo - sancire un prima e un dopo. Gli avanzi, davvero leftovers, denunciano una mancanza di radicalità e insieme profondità nell'adattamento: c'è programmaticità, in ogni tappa del viaggio accade qualcosa, anziché destino, c'è una esibita docilità del racconto con sintassi e lessico piani che cozza paradossalmente con l'efferatezza visuale degli atti antropofagi. Un film per tutti ma vietato ai minori? Già, il racconto è inteso per il grande pubblico, la storia nelle sue pieghe sanguinarie e sanguinose no: non pare tensione dialettica, piuttosto irresolutezza. O, chissà, furbizia, che pure non cogliamo appieno.
A corroborare lo spettro allargato, tutto viene spiegato, tutto: le vite di Maren e Lee per filo e per segno, senza che lo spettatore possa bearsi di un non detto - e magari però avvertito, evocato, suggerito.
Un film di superfici, come il sangue sul parquet, che mostra le viscere eppure veicola epidermide, spalancando un dubbio: dov'è la libertà che abbiamo ravvisato e lodato in We Are Who We Are, a oggi il lavoro migliore di Guadagnino? Che ragazzi sono questi, oltre i cannibali che non hanno scelto di essere e provano a contenere? Non è che la loro rinuncia è del regista, la loro conflittuale disciplina un ostacolo alla libertà di espressione (che non sia il manifestino: l'amore ci salva...)?
Nonostante le promesse, nonostante le premesse, un film medio, che abbina trasgressione ematica e convenzionalità poetico-stilistica: servirebbe una trasfusione del Guadagnino migliore, da Call Me By Your Name – per altro, ben più cannibale courtesy Armie Hammer… - a We Are Who We Are.