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In Uganda dal 1986 il potere è rimasto sempre nelle stesse mani, quelle di Yoweri Museveni. Autoritarismo e repressione sono gli strumenti con cui è riuscito a controllare il paese, più o meno indisturbato. Fino a quando una superstar locale, Robert Kyagulanyi Ssentamu, meglio conosciuto come Bobi Wine, non ha incominciato ad utilizzare la propria notorietà per tentare di rovesciare lo status quo.
Christopher Sharp e Moses Bwayo portano Fuori Concorso a Venezia 79 Bobi Wine: Ghetto President, documentario che segue in tempo reale il percorso di Bobi Wine e di sua moglie Barbie: dagli slum del ghetto di Kampala, Bobi è riuscito a diventare una delle figure più amate del suo Paese. È il talento musicale a favorire la sua ascesa, a incoraggiare milioni di persone che prima non avevano voce. Bobi usa la musica come forma di attivismo e diventa un membro indipendente del Parlamento, per difendere i diritti della sua gente, la gente del ghetto.
Our power, people power.
“Bobi e Barbie sono eroi, che decidono di correre un enorme rischio personale per liberare una nazione da un regime al potere da trentacinque anni. Volevamo girare un film che fosse una rappresentazione autentica dei drammatici eventi accaduti in Uganda e dello spirito puro e genuino di un gruppo di persone”, dicono i due registi.
Punto centrale della narrazione è ovviamente la musica, “linfa vitale per Bobi”, elemento attraverso il quale l’uomo ha saputo riscattare il proprio passato, costruendosi un presente fatto di agio e notorietà: è proprio questo aspetto – poco approfondito in realtà dal documentario – che balza agli occhi con maggior forza: da una parte una popolazione allo stremo, dall’altra un dittatore che attraverso polizia ed esercito tiene a bada (spesso e volentieri con la violenza) chiunque provi ad opporsi, in mezzo una figura di rottura che inneggia al potere al popolo con vestiti alla moda e macchine di lusso.
Bobi Wine on Boda boda escaping from Police in Uganda KampalaÈ inevitabile dunque che il film finisca per tradursi in un’agiografia del personaggio principe (omettendo ad esempio alcuni fatti riguardanti le accuse di omofobia piovutegli addosso negli anni addietro, questione che peraltro ha visto la Gran Bretagna negargli la possibilità di accesso costringendolo a cancellare due concerti), del suo peso mediatico anche a livello internazionale (vedi il viaggio effettuato negli Stati Uniti per denunciare quanto stesse accadendo nel suo paese),anche perché la dittatura che Bobi Wine ha tentato (e ancora tenta) di combattere è talmente disumana, ingiusta, superata dalla storia che, in fondo, per eventuali approfondimenti un po’ più scomodi c’è ancora tempo.
Quello che resta è la restituzione trascinante, a volte anche molto dolorosa, di una realtà dove sulla carta vige una costituzione che permette libertà di parola e libere elezioni, salvo poi calpestarla con la forza, col manganello, con la violenza di un potere dispotico che sopravvive da 36 anni.