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Argentina, 1985 © Prime Video - La Unión de los Ríos - Kenya Films - Infinity Hill - Ph Lina Etchesuri
È una strana coincidenza, oppure un inquietante dialogo a distanza, quella tra il racconto storico restituito da Argentina, 1985, il nuovo film di Santiago Mitre in Concorso a Venezia 79, e i fatti della cronaca con le agghiaccianti immagini del fallito attentato a Cristina Kirchner, già presidente argentina dal 2007 al 2015 e ora vicepresidente.
Quella pistola puntata alla testa della primera dama, al momento imputata per frode e corruzione (l’accusa ha chiesto una condanna di 12 anni e l’interdizione perpetua dai pubblici uffici), ci dice qualcosa sullo stato delle cose di una nazione tormentata e piena di conflitti, nonostante, come leggiamo nei titoli di coda, viva ininterrottamente in una democrazia da quasi quarant’anni. E che sperava di aver chiuso la sua lunga storia con la violenza.
Come altri autori della sua generazione, anche Mitre riprende in mano il discorso con il passato delle dittature militari, raccontando al pubblico, locale e globale, non solo quel che è stato ma anche il percorso verso le democrazie. E lo fa adottando i codici del cinema civile e popolare, mettendo al centro dello spettacolo d’autore il potere della parola (il genere del procedural come spazio per confrontarsi con l’orrore e rifletterci sopra), il senso della tensione (la paranoia che guarda alla New Hollywood), la forza edificante del messaggio (la giustizia anziché la vendetta, la memoria contro l’oblio, affermare che “il sadismo non è un'ideologia ma una perversione morale”, ribadire che la ferocia è dei vigliacchi).
Argentina, 1985 parla, infatti, di quel che è accaduto subito dopo la fine del regime militare di Jorge Rafael Videla, durato dal 1976 al 1981, periodo segnato da persistenti e crudeli violazioni dei diritti umani (sequestri, torture, sevizie, sparizioni, omicidi di oltre 30.000 persone). Mitre e il suo cosceneggiatore Mariano Llinás (l’autore del fluviale La Flor, 808 minuti) si concentrano su Julio Strassera, il procuratore incaricato di indagare e perseguire i responsabili della dittatura.
Coadiuvato da un giovane avvocato, Luis Moreno Ocampo, nato e cresciuto in una famiglia di militari (da cui è osteggiato), e da un pool di giovanissimi legali con pochissima o nessuna esperienza pregressa, Strassera conduce una lotta contro il tempo per raccogliere il maggior numero di prove. Mentre lui, la sua famiglia e i suoi collaboratori subiscono minacce continue da parte di vasti settori dello Stato, sopravvissuti al mancato repulisti e convinti di non dover rendere conto delle proprie azioni, durante quella che consideravano una guerra civile.
Prodotto sotto l’egida di Amazon, Argentina, 1985 è un film civile rivolto al grande pubblico internazionale, tradizionale quanto si vuole ma di incredibile solidità, un’opera che potrebbe avere un impatto simile a quello che proprio nel 1985 ebbe La storia ufficiale, straordinario film che rappresentava, nel momento appena precedente alla caduta del regime, la borghesia argentina con gli occhi chiusi di fronte agli assassini.
Mitre rimette al centro il tema di quel film capitale per il cinema argentino (il dovere di scrivere una storia che riconosca le vittime), interroga le responsabilità personali di coloro che forse sono stati ignavi mentre si spargeva il sangue (lo stesso Strassera è stato uno “gnorri”, come lo accusa qualcuno?), affronta la questione – che riguarda tutte le dittature – sulla presenza ingombrante e pervasiva di coloro che dalla dittatura sono transitati nella democrazia.
Confezionato con accuratezza grazie a un’efficace ricostruzione storica, narrato in modo avvincente e persuasivo senza rinunciare ad ammiccamenti (alleggerimenti con battute improvvise che non indeboliscono il peso degli eventi e con la bellissima figura del figlio di Strassera, che si mette a disposizione del padre visto come un eroe), sa sfruttare al meglio lo schema del dramma processuale (le diatribe tra accusa e difesa, le commoventi deposizione dei testimoni, il climax emotivo dell’arringa finale), lo incrocia in modo molto intelligente con il privato del procuratore (la moglie è interpretata dalla splendida Alejandra Flechner) e trova il cardine nella star Ricardo Darín, un gigante della recitazione per autorevolezza, misura, eleganza, gravitas, umanità in predicato di premio.